Sparire nel nulla, in Messico, è purtroppo la normalità. Meno normale è sparire anche dall’elenco dei desaparecidos. È quanto accaduto lo scorso 14 dicembre, quando il governo ha aggiornato il censimento delle persone scomparse a partire dal 1962 cancellando ben 79.995 nomi. Così, da un giorno all’altro, le persone di cui non si hanno più notizie sono passate da quasi centomila ad «appena» 16mila. Il ministero degli Interni, rendendo pubblici i risultati della Strategia nazionale per la ricerca delle persone scomparse, ha così pubblicamente ammesso di non disporre di dati e informazioni sufficienti per cercare quasi 80mila persone.

AMNESTY INTERNATIONAL Messico ha lanciato una campagna per fare pressioni sul governo chiedendo trasparenza e, soprattutto, la partecipazione attiva dei parenti delle persone scomparse nella preparazione di un nuovo censimento. «L’azione urgente» spiega al manifesto Andrés Pacheco, vicedirettore del programma Diritti Umani di Amnesty International Messico, «consiste in una lettera da inviare entro il 10 marzo a Luisa María Alcalde, segretaria del ministero degli Interni, per chiedere di rivedere i parametri con cui è stato stilato il nuovo elenco delle persone scomparse». Si tratta, precisa Pacheco, di una campagna internazionale: «Anche voi italiani, anche nella vostra lingua, potete fare pressioni sul governo messicano e aiutare le ong in questa campagna in difesa delle famiglie che da anni, alcune addirittura dalla fine degli anni Sessanta, si battono per ritrovare i propri cari. O almeno i loro corpi».

LA DENUNCIA parte da una considerazione che non riguarda solo l’attuale governo Obrador, ma in generale il sistema di ricerca delle persone scomparse degli ultimi decenni: ogni esecutivo «si è preoccupato più di ridurre i numeri del problema che cercare i desaparecidos». Il problema maggiore di questo nuovo censimento «è non aver coinvolto ong, attivisti e familiari, i collettivi delle madres buscadoras, non aver cercato collaborazione e non aver mostrato solidarietà». E i numeri sono un’ammissione del fallimento del sistema di ricerca portato avanti dalle autorità.

AL MOMENTO della pubblicazione del nuovo censimento il numero delle persone scomparse negli ultimi sessant’anni era di centomila. Oggi, con i dati relativi al 2023, vanno aggiunti 12.031 nuovi casi, tra cui 3.596 donne. In totale parliamo di oltre 112mila desaparecidos che ormai vanno considerati «non ufficiali» a fronte dei 16mila certificati dalla segreteria del ministero. «Nessuno però – denuncia Pacheco – si è preoccupato di contattare le famiglie delle 80 mila persone cancellate, anche solo per chiedere se fossero riapparse. Sono state depennate e basta». Quella di Amnesty, precisa Pacheco, non è però solo una denuncia ma «un’offerta, l’ennesima, di collaborazione. E non riguarda solo la nostra organizzazione, ma decine di realtà sparse in tutto il Messico». Da qui «l’azione urgente» che chiede alla segreteria un coinvolgimento attivo per dare vita a un nuovo sistema di ricerca.

IL FENOMENO di quelle che in Messico sono definite «sparizioni forzate» si è palesato con tutta la sua drammaticità soprattutto a partire dal 2006, quando cominciò la guerra al narcotraffico voluta dall’allora presidente Felipe Calderón e che ebbe il sostegno, economico e militare, degli Stati Uniti. Le prime denunce erano localizzate soprattutto negli stati dove la criminalità era più forte – Tamaulipas, Chihuahua, Sonora, Sinaloa – ma in breve le persone hanno iniziato a sparire in tutto il paese. Tra i 79.995 nomi cancellati dal censimento, c’è anche quello di Esmeralda Castillo Rincón, che lo scorso 28 gennaio ha compiuto 29 anni. Suo padre, José Luis, e sua madre, Martha, hanno festeggiato la ricorrenza con una torta insieme ad amici e attivisti per le strade di Ciudad Juárez, città al confine con il Texas: «Questo è l’ennesimo compleanno che festeggiamo senza di lei». La mattina del 14 maggio 2009 Esmeralda è uscita da casa per andare a scuola: aveva 14 anni, non è mai arrivata in classe e non è più tornata a casa.

IN ONORE DI ESMERALDA, papà José Luis ha innalzato una targa – diventata una sorta di monumento – in una delle strade centrali di Ciudad Juárez, dove ogni mattina si tiene il mercato cittadino, a pochi metri dalla fermata del bus, l’ultimo luogo in cui è stata avvistata. E da quel maledetto giorno si batte per trovare sua figlia tra mille difficoltà, ostacolato dalle stesse istituzioni: nel 2012 José Luis e suo figlio (che porta il suo stesso nome) sono stati incarcerati per 8 mesi accusati ingiustamente di rapina a mano armata e detenzione illegale di armi da fuoco. Sono stati assolti per mancanza di prove. «È stato solo uno dei tanti tentativi per farmi arrendere. Non accadrà mai. Neanche ora che, ufficialmente, Esmeralda non è più considerata una “persona scomparsa”».