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Gli ermellini e i «briganti» della Calabria

Gli ermellini e i «briganti» della CalabriaMimmo Lucano – Lapresse

Sentenza Lucano Si è purtroppo fatta strada una cultura giustizialista che criminalizza l’accoglienza trasformando migliaia di volontari in potenziali criminali e militanti politici come Mimmo Lucano in pericolosi delinquenti.

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 2 ottobre 2021

«Beati gli affamati di giustizia perché saranno giustiziati». Questo tagliente aforisma di Piergiorgio Bellocchio, citato nel bellissimo libro sulla giustizia di Luigi Manconi (Per il tuo bene ti mozzerò le orecchie, Einaudi stile libero) mi è tornato in mente dopo l’agghiacciante sentenza che ha condannato Mimmo Lucano  a una pena esorbitante, 13 anni e due mesi, come quelle che prima i tribunali sabaudi e poi quelli fascisti comminavano ai ribelli calabresi che trattavano alla stregua di briganti.

Il paradigma giudiziario racchiude entro una dimensione criminale comportamenti che in tutto il mondo sono stati giudicati un modello di accoglienza, come ha scritto sul manifesto Tonino Perna . E non solo da giornalisti e politici affini. Fu la Corte di Cassazione, chiamata due anni fa a esprimersi sulle assurde misure cautelari inflitte a Lucano a scrivere: “A Riace non ci sono state né ruberie, né truffe, né matrimoni di comodo. Il contestato appalto per la differenziata, (fatto con gli asinelli per poter passare nelle strade strette ndr), assegnato dal Comune di Riace a due cooperative del paese che impiegavano italiani e migranti, è stato gestito in modo assolutamente regolare. È la legge a prevedere la possibilità di affidamento diretto a cooperative sociali finalizzate all’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate a condizione che gli importi del servizio siano inferiori alla soglia comunitaria”.

Il problema non è la fisiologica differenza di giudizio sull’interpretazione dei fatti tra giudici, bensì il rovesciamento del significato delle azioni commesse: per inserire persone svantaggiate secondo la Cassazione, per ottenere consenso e potere secondo il tribunale di Locri.
E anche l’entità della pena che addirittura raddoppia la richiesta dell’accusa va al di là di possibili errori e violazioni di norme di legge: la condanna è degna del capo di una vera e propria organizzazione criminale.

Si è purtroppo fatta strada una cultura giustizialista che criminalizza l’accoglienza trasformando migliaia di volontari in potenziali criminali e militanti politici come Mimmo Lucano in pericolosi delinquenti.

L’altra conseguenza di questa sentenza è il rafforzarsi di una grottesca narrazione della Calabria come luogo irredimibile, territorio da bonificare con le buone o le cattive, dove i buoni sono solo un pugno di coraggiosi magistrati che vogliono rivoltarla come un calzino per purificarla dal male. Per fortuna ci sono scrittori e scrittrici come Mimmo Gangemi, Gioacchino Criaco, Katia Colica, che avanzano letture più profonde, colte, più in grado di leggere la drammatica complessità di una terra dura e spesso ingiusta che non ha bisogno di liberatori bensì di poter liberare le proprie energie, come ci ricorda lo storico Ilario Ammendolia nel suo piccolo ma prezioso libro per capire i danni del paradigma giustizialista (La ‘ndrangheta come alibi, Città del Sole Edizioni).

Esattamente quello che faceva Mimmo Lucano, immaginando che per sottrarre la Calabria all’egemonia e al controllo asfissiante della ‘ndrangheta non basti la repressione, tanto più quando spettacolarizzata, bensì serva affermare nella pratica quotidiana una cultura del rispetto e della dignità di ogni essere umano che è alternativa alla cultura dell’appartenenza e del sangue che è il cuore della cultura mafiosa.

La ‘ndrangheta a Rosarno schiavizza i migranti e li ammazza quando si ribellano, a Riace Lucano li accoglie e li rende protagonisti della rinascita del paese, poi bruscamente interrotta dalla repressione.

A tutto questo ci si deve ribellare con tutte le forze. Le sentenze si criticano, eccome, quando le si ritiene ingiuste. La democrazia funziona così.
Agli autori di questa sentenza, non a tutti i magistrati ovviamente, sembrano potersi applicare le parole che Luigi Pintor dedicò agli «ermellini» che inauguravano gli anni giudiziari ignorando puntualmente le stragi sul lavoro, in un celebre editoriale intitolato I Mostri nel 1972: ”Dispongono di armi micidiali, leggi inique e meccanismi incontrollabili. E le maneggiano come e contro chi vogliono”.

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