Ecco gli otto articoli del disegno di legge sulla giustizia. Arrivati ieri dopo mesi di attesa sul tavolo del preconsiglio dei ministri, oggi saranno approvati dal governo. Più delle tensioni nella maggioranza, più dei distinguo di questo o quel partito sui singoli punti, conta l’occasione da prendere al volo. Che per Meloni è quella di intestare la (mini) riforma alla memoria di Silvio Berlusconi. E persino di presentarsi come colei alla quale è riuscito quello che il Cavaliere avrebbe sempre voluto. Anche se siamo solo alla presentazione di un testo che parte per il lungo iter parlamentare. E se si tratta in fondo di norme di piccolo cabotaggio. Non c’è (perché richiede modifiche costituzionali) la separazione delle carriere. E la misura più radicale, la competenza sulla custodia cautelare in carcere spostata a un collegio di tre giudici, entrerà in vigore solo due anni dopo l’approvazione della legge.

L’abolizione dell’abuso d’ufficio (articolo 323 del codice penale) è completa, come da annunci. E c’è anche la restrizione del reato di traffico di influenze illecite: viene depenalizzato il millantato credito, l’utilità data o promessa dovrà essere economica e versata direttamente al pubblico ufficiale. C’è anche una stretta sulla possibilità di pubblicare il contenuto delle intercettazioni, ma come tutte le precedenti andrà verificata nel concreto della sua applicazione. Le novità sono che le conversazioni di soggetti diversi dagli indagati non potranno in nessun caso essere pubblicate se non considerate rilevanti per il procedimento. E, più rilevante ancora, l’articolo 2 del disegno di legge stabilisce che è sempre vietata la pubblicazione del contenuto delle intercettazioni, tutte, anche dopo il deposito degli atti, «se non è riprodotto dal giudice nelle motivazioni di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento». Una misura per la quale protesta l’Ordine nazionale dei giornalisti: «Questi limiti alla pubblicazione rischiano di costituire un ostacolo al diritto dei cittadini di essere informati su eventi rilevanti».

Con l’obiettivo di garantire gli indagati, Nordio introduce il principio che prima di adottare una qualsiasi misura cautelare il giudice debba sentirli in contraddittorio. Convocandoli con almeno cinque giorni di anticipo. La regola non vale nei casi in cui ci sia pericolo di fuga, inquinamento delle prove o reiterazione di reati violenti. Ma anche nei casi meno gravi potrebbero sorgere problemi perché la convocazione funzionerà come una sorta di preavviso di arresto. Peraltro nei casi in cui la misura cautelare che si intende disporre è la detenzione in carcere, si prevede adesso che la competenza passi a un collegio di tre giudici (e non più al singolo gip) «per valorizzare il carattere di extrema ratio». L’Anm però sottolinea da tempo che la novità, comportando nei fatti la competenza di tre giudici in prima battuta, più tre in riesame e cinque in Cassazione, finirà con l’ampliare a dismisura i casi di incompatibilità nei successivi gradi di giudizio. Per questo Nordio nel disegno di legge ha previsto l’assunzione di 250 nuovi magistrati. Ma, nell’attesa, ha dovuto rinviare di due anni l’entrata in vigore della nuova norma.