Rischia di diventare un’impresa impossibile. Sorpreso a luglio in mezzo al guado dalla crisi, il governo su spinta della ministra Cartabia ha deciso di provare comunque a portare a compimento la riforma dei codici di procedura penale e civile, due capitoli fondamentali del Piano nazionale di ripresa e resilienza perché funzionali alla riduzione dei tempi dei processi. Il percorso legislativo, da impegni con l’Europa, andrebbe concluso entro l’anno.

Per non rischiare il governo ancora in carica per gli affari correnti ha presentato ad agosto i decreti legislativi di attuazione delle leggi delega che disegnano le riforme. Ora la palla è passata alle commissioni giustizia di camera e senato. Il loro parere è obbligatorio ma non vincolante. E la strada è in salita.

Nelle prime riunioni di ieri, infatti, è apparso chiaro che con il liberi tutti della crisi e delle elezioni imminenti non è più possibile tenere la maggioranza legata al rispetto degli accordi che hanno consentito l’approvazione delle leggi delega. Accordi, del resto, accettati con fatica un po’ da tutta la composita maggioranza.

Ieri in commissione giustizia al senato il Movimento 5 Stelle ha resuscitato le obiezioni alla riforma del codice penale che aveva accettato di mettere da parte a suo tempo. E così il senatore Grasso che si muove indipendentemente dal suo gruppo – e non è stato ricandidato. Il relatore Caliendo (Fi) ha detto all’Ansa che ha intenzione di proporre un’approvazione secca del testo del decreto, senza osservazioni. Ma è difficile immaginare forzature a governo dimissionario e camere sciolte.

Ancora più accesa la discussione sul civile, sempre al senato il leghista Pillon è tornato sulla sua ossessione di imporre la mediazione anche nella cause di violenza su donne e minori. «Non è concepibile», ha replicato la Pd Rossomando. Oggi tocca alla camera. Se non si riuscirà a chiudere entro le elezioni c’è la quasi certezza che i decreti finiranno travolti dai tempi del nuovo parlamento.