Giulio Regeni, vogliamo la «verità di scomodo»
Senza verità C’è poi la verità che da 365 giorni in tantissimi, e non solo in Italia e in Egitto, chiedono: la «verità di scomodo». Quella che contenga i nomi di chi ha ordinato la tortura e l’uccisione di Giulio, di chi ne è stato materialmente esecutore, di chi ha coperto, di chi ha depistato. Fino a quando quella verità non verrà fuori, i rapporti tra Egitto e Italia dovrebbero restare «anormali»
Senza verità C’è poi la verità che da 365 giorni in tantissimi, e non solo in Italia e in Egitto, chiedono: la «verità di scomodo». Quella che contenga i nomi di chi ha ordinato la tortura e l’uccisione di Giulio, di chi ne è stato materialmente esecutore, di chi ha coperto, di chi ha depistato. Fino a quando quella verità non verrà fuori, i rapporti tra Egitto e Italia dovrebbero restare «anormali»
Oggi, mercoledì 25 saranno trascorsi 365 giorni, un anno esatto, dalla scomparsa di Giulio Regeni al Cairo.
«Scomparsa» è un termine che rende male e poco ciò che è accaduto a Giulio, indica una causalità, una circostanza naturale, un imprevisto. Usiamo allora un termine che appartiene alla storia delle violazioni del genere, trasportandolo dalla seconda metà dello scorso secolo al secondo decennio di questo: la «desaparición», la sparizione forzata di Giulio Regeni.
Nell’aggettivo «forzata» c’è la verità storica sulla fine di Giulio.
Che è stato arrestato, trattenuto in detenzione, torturato e infine ucciso. Su ordine di chi, da parte di chi e con la copertura di chi, da un anno non si sa. La storia delle violazioni dei diritti umani in Egitto, che hanno conosciuto un nuovo picco a partire dal marzo 2015 con l’arrivo al ministero dell’Interno di Maghdi Ghaffar, ci dice che quello che è accaduto a Giulio Regeni è ciò che è accaduto a migliaia di egiziani. Lo sanno bene in Egitto e per questo dicono «Giulio è uno di noi».
Lo sappiamo bene anche in Italia, seppur tardivamente, seppur dopo che l’assassinio di un nostro connazionale ha mostrato la reale e terribile dimensione delle sparizioni e della tortura, fatti ormai pluriquotidiani, in Egitto.
I 365 giorni trascorsi dal 25 gennaio 2016 hanno visto una mobilitazione straordinaria del nostro paese. In ogni parte d’Italia enti locali, università, scuole hanno esposto lo striscione «Verità per Giulio Regeni» (qualche sindaco ha pure provato a toglierlo, secondo il nefasto principio che la solidarietà dura qualche mese, poi inizia la storia). Centinaia di migliaia di persone, individualmente o riunite in account collettivi su Twitter e Facebook, hanno popolato i social di messaggi, richieste, proteste, inviti, appelli. I mezzi d’informazione hanno tenuto viva l’attenzione, contribuendo a resistere all’inesorabilità del tempo che passa e dell’oblio che porta.
Questo paese si è stretto intorno ai familiari di Giulio e si è innamorato di questo ragazzo che oggi avrebbe poco più di 29 anni. Sono stato testimone più volte della passione con cui le alunne e gli alunni delle scuole superiori hanno reagito alla narrazione della sua vita, della sua curiosità di «ragazzo globale»: senza schemi, senza filtri hanno preso pennarelli e hanno disegnato centinaia e centinaia di cartelli.
Come sappiamo, questi 365 giorni sono trascorsi nel conflitto tra tre verità. Soprattutto nei primi mesi, dall’Egitto sono arrivate verità false, depistanti, offensive, da cui è stato necessario difendersi anche in Italia: una serie di piste inverosimili, tutte con l’obiettivo di scagionare le istituzioni egiziane da ogni responsabilità.
Ne hanno fatto le spese, tra l’altro, cinque egiziani del tutto estranei e innocenti, nella messinscena del «vassoio d’argento» propinatoci dal Cairo il venerdì di Pasqua.
Negli ultimi mesi, mentre veniva fin troppo esaltata la collaborazione della procura egiziana alle indagini, si è palesata quella «verità di comodo» che l’Italia ha sempre dichiarato di voler rifiutare e che invece – in base ai triti luoghi comuni che poco è meglio di niente e che il meglio è nemico del bene – potrebbe venire, per l’appunto, comoda a entrambi i governi: la verità delle mele marce in un cesto sano. Quella per cui qualche poliziotto potrebbe aver agito da solo, senza una catena di comando, senza riferire a nessuno. Una verità cui sarebbe difficile credere: arrestare, trattenere in vari luoghi di detenzione, torturare con macabra professionalità ed efficienza, uccidere infine Giulio non è roba da «volontariato del male».
Quella verità potrebbe normalizzare i rapporti tra i due paesi. Si tornerebbe alla situazione pre-Giulio di un paese dall’altissimo tasso di violazioni dei diritti umani, ignorate o condonate in nome della «stabilità», della «strategicità», dei rapporti economici e commerciali.
C’è poi la verità che da 365 giorni in tantissimi, e non solo in Italia e in Egitto, chiedono: la «verità di scomodo». Quella che contenga i nomi di chi ha ordinato la tortura e l’uccisione di Giulio, di chi ne è stato materialmente esecutore, di chi ha coperto, di chi ha depistato. Fino a quando quella verità non verrà fuori, i rapporti tra Egitto e Italia dovrebbero restare «anormali».
Che rimanga questa «anormalità» dunque. Lo chiederanno le persone che il 25 gennaio si raduneranno alle 12.30 all’Università La Sapienza di Roma e quelle che alle 19.41 – l’ora della sparizione forzata di Giulio – accenderanno le candele a Fiumicello (il paese dove Giulio era cresciuto e dove era stato eletto «sindaco dei giovani»), a Roma in piazza Montecitorio e in decine di altre città italiane. I dettagli della giornata sono sul sito www.amnesty.it
* Portavoce Amnesty International Italia
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