Giovedì, come previsto, l’Egitto ha assunto la co-presidenza del Global Counterterrorism Forum. Dopo il Marocco, sarà Il Cairo ad affiancare l’altra co-presidente, l’Unione europea. Una sorta di grande piattaforma fondata nel 2011 da trenta paesi di tutti i continenti per scambiarsi pratiche e politiche di anti-terrorismo.

Il prossimo mercoledì, in un’apposita conferenza stampa, Ue ed Egitto inaugureranno il tandem. Sarà presente il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry, lo stesso che nel febbraio 2016 aprì la lunga e dolorosa serie di insabbiamenti intorno al brutale omicidio del ricercatore italiano Giulio Regeni.

Che l’Egitto resti solido partner dell’Europa non è mai stato in dubbio, ci ha provato – senza successo – il Parlamento europeo, inascoltato da istituzioni di Bruxelles e paesi membri. E la questione del terrorismo globale è la più citata quando si giustifica il mantenimento di rapporti con il Cairo di al-Sisi – il cui regime a luglio compie 10 anni – per la sua funzione di stabilizzatore regionale (“stabilità” che spiega la sesta posizione dell’Egitto nella classifica dei paesi che nel quinquennio 2018-2022 hanno acquistato più armi al mondo, secondo il Sipri).

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Ieri a ricordare quegli insabbiamenti, nella chiara intenzione di superarli una volta per tutte e dare un nome alle cose, sono stati due sit-in. Uno a Roma e uno a Milano, il primo di fronte alla sede dell’ambasciata egiziana, il secondo al consolato del Cairo.

Al centro gli indirizzi dei quattro principali indiziati del rapimento, le torture e l’omicidio di Regeni, tutti membri della National Security egiziana (il generale Sabir Tareq, i colonnelli Usham Helmy e Ather Kamal e il maggiore Magdi Sharif). Rinviati a giudizio in Italia, ma il processo è fermo: la Procura di Roma non ha gli indirizzi dei quattro agenti, dove poter comunicare l’iscrizione nel registro degli indagati e l’apertura del procedimento nei loro confronti. Prossima udienza prevista il 31 maggio quando il gup dovrà decidere se procedere in contumacia o se rinviare la questione alla Corte costituzionale.

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A organizzare i due sit-in, tra gli altri, Articolo 21, Festival dei Diritti umani e Ordine dei giornalisti di Lazio e Lombardia. A Roma era presente la famiglia di Giulio che, di fronte alle mura che la separavano dalle rappresentanze del governo egiziano e con alle spalle i nomi degli agenti su quattro sedie vuote, ha affidato a Beppe Giulietti la sua lettera-appello: «È tempo che l’Egitto dopo innumerevoli vane promesse collabori con il nostro governo ed è tempo che il nostro governo pretenda senza se e senza ma che i quattro imputati per il sequestro, le torture e l’uccisione di Giulio compaiano alla prossima udienza il 31 maggio».

«È importante scandire i loro nomi – prosegue la lettera – perché la notizia del processo a loro carico li raggiunga ovunque si trovino e non possano più far finta di non sapere».