Il Giappone è il paradiso dei lettori: così appare dai dati forniti dall’ottimo sito World Population Review, punto di riferimento obbligato per chi resta convinto che la geografia nelle sue varie articolazioni sia una materia imprescindibile e soprattutto appassionante, a dispetto dei programmi scolastici che l’hanno progressivamente ridotta. In base alle statistiche più recenti, infatti, i giapponesi leggono una media di 139.078 libri l’anno, vale a dire il 7 per cento del mercato mondiale, a fronte di una popolazione che non arriva al 2 per cento. E a rinforzo le cifre fornite da Statista ci dicono che quasi un quarto degli abitanti del paese del Sol Levante (il 23,4 %) legge libri ogni giorno e un altro 16 % si dedica alla lettura tre o quattro giorni alla settimana.

Eppure, com’è facile intuire, è in agguato un «ma» grosso come una casa, che si traduce in un titolo inquietante di uno dei più importanti e antichi quotidiani nazionali, il Mainichi Shinbun: «Le librerie stanno scomparendo dal Giappone». Può sembrare un’esagerazione, ma non lo è: «Secondo le stime della categoria, il numero delle librerie è diminuito di quasi un terzo nell’ultimo decennio, a causa dell’effetto combinato del calo demografico e della crescente diffusione di Internet».

Inutili sono state le proteste dei lettori, soprattutto quelli che vivono nei centri minori, che hanno «siano un elemento essenziale per la vitalità dell’ambiente urbano». Purtroppo il sostegno di un pubblico affezionato, se non si traduce in flussi di moneta sonante (o anche meglio, elettronica), poco può fare per tenere in vita un esercizio commerciale. Per fortuna, i librai giapponesi – se non tutti, alcuni – possono ricorrere a un’attività di vendita parallela, rivolta alle biblioteche cittadine e scolastiche, che rappresenta una valvola di sicurezza importante. Il Mainichi Shinbun cita il caso della libreria Takashima Shobo, che vanta 72 anni di storia e si trova a Koriyama, una città di oltre trecentomila abitanti nella prefettura di Fukushima, nel nord-est del Giappone: «Attualmente – spiega il proprietario, Mizuo Takashima – il negozio contribuisce solo per il dieci per cento alle vendite totali, mentre il restante dei profitti deriva dalle consegne alle biblioteche scolastiche e pubbliche». In sostanza, per mantenere a galla la sua attività, Takashima passa gran parte del tempo in giro per le scuole e gli enti pubblici della città per promuovere il suo servizio di consegna di libri, mentre un commesso part time si occupa del negozio: «Un esempio – dice il libraio – di come le librerie locali possano sopravvivere» anche in tempi così difficili.

Ma «queste storie di successo rappresentano un’eccezione – avverte l’articolo del Mainichi Shinbun – dato che anche le vendite dei testi scolastici sono diminuite significativamente a causa del calo delle nascite in Giappone». E il fenomeno non riguarda solo le aree periferiche: pure a Tokyo il numero di librerie è calato di circa il 30% negli ultimi dieci anni, una cifra che va di pari passo con quello che accade in tutto il paese. Secondo la Japan Publishing Organization for Information Infrastructure Development, infatti, oggi in Giappone ci sono 11.952 librerie, contro le 16.722 del 2012.
Insomma, le prospettive sono cupe, e non solo per i librai, secondo Kazuyuki Ishii, direttore esecutivo della federazione delle librerie giapponesi: «A causa di questo calo, è molto probabile che anche la popolazione di lettori diminuisca, innescando un circolo vizioso. È arrivato il momento che l’industria editoriale nel suo complesso pensi a delle contromisure». Sì, ma quali? Un interrogativo che ci riguarda da vicino.