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Gian Vittorio Porasso, il pastore della biodiversità

Gian Vittorio Porasso, il pastore della biodiversitàGian Vittorio Porasso con le sue capre

Territori Architetto di formazione ha iniziato quasi per hobby, oggi la sua azienda è un esempio di attività agricola sostenibile. Un centinaio di capre autoctone di razza Roccaverano, alimentate solo al pascolo, produce kefir e quattro tipi di formaggi

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 24 aprile 2022
Farian SabahiCASTELNUOVO DI CEVA (CN)

«Ho scelto di allevare capre perché sono anarchiche e le devi conquistare giorno dopo giorno! Ti giudicano, ti mettono alla prova. E poi, certo, sono legate alla memoria dei miei nonni materni». Siamo sugli Appennini che separano la Liguria dal Piemonte, 750 metri sul livello del mare. Il pastore Gian Vittorio Porasso si racconta, e intanto estrae la cagliata per fare le tume tipiche della montagna cuneese. «Scaldo il latte a 36 gradi e aggiungo il caglio. Raggiunti i 36 gradi si caglia, si fa a cubettoni, si spacca la cagliata in pezzi grossi come noci, dopodiché si estrae nei contenitori di plastica in cui sgronda e prende forma». Mentre il pastore spiega come fa il formaggio, la passione si sente. In sottofondo, il rumore dei campanacci.

CINQUANTADUE anni, mamma di Ceva-Ormea e papà di Dogliani. Emigrano a Torino quando Gian Vittorio ha tre anni. Nel capoluogo piemontese frequenta le scuole e si laurea in Architettura. La svolta avviene attorno ai trentatré anni: «Mi sono ascoltato, sentivo la necessità di una diversa qualità della vita, fin da bambino apprezzavo la natura e la montagna. Mi sono dovuto ascoltare, e c’è voluto coraggio!» Su segnalazione di un amico di famiglia, che lo sa appassionato di quelle terre, il giovane architetto acquista la cascina che sarebbe diventata la base da cui ripartire. A regalargli le prime sette capre è un amico di Roccaverano. «Doveva essere un hobby, ma fin dall’inizio si è rivelato faticoso. Di giorno lavoravo nello studio di architettura a Torino, poi percorrevo i cento chilometri per tornare in cascina e la notte facevo formaggi».

Poco per volta, l’attività amatoriale diventa azienda agricola. Oggi le capre sono un centinaio, di cui 60 in lattazione, tutte di razza Roccaverano. Autoctone e in via di estinzione, si adattano al pascolo in zone marginali e non hanno picchi di produzione ma, a fronte di una quantità di latte inferiore rispetto ad altre razze, il loro è di qualità superiore perché alimentate solo a pascolo. «Se le capre alimentate in maniera intensiva fanno anche sei litri di latte al giorno, le mie si limitano a un litro e mezzo, massimo due». Accudite con affetto, pascolano in serenità da mattino a sera su 28 ettari tra prati stabili, boschi e terreni abbandonati.

LA BIODIVERSITÀ di arbusti, fiori e piante conferisce agli animali il benessere necessario, e al latte la ricchezza nutrizionale e organolettica. Quando nevica, restano in stalla e mangiano fieno locale integrato con sale minerale e un po’ di trebbie. Nessun insilato, nessun antibiotico. La riproduzione è naturale, i capretti maschi sono venduti in filiera corta, direttamente ai ristoranti e ai privati. Le capre sono munte due volte al giorno e il latte ottenuto viene subito utilizzato per produrre kefir e formaggio. Tra novembre e gennaio non c’è produzione casearia perché le capre sono in gestazione.

Di Gian Vittorio Porasso avevamo sentito parlare in Borgata Paraloup («il manifesto» 31 gennaio 2022), dove si trasferisce con il gregge da fine maggio a metà ottobre. Se a Paraloup era arrivato tramite il professor Andrea Cavallero della Facoltà di Agraria di Torino, in precedenza era stato in alpeggio a Castelmagno frazione Campofei. Per la sua attività, Porasso ha come sponsor tecnico Montura Store Alpstation Cuneo by Ravaschietto Sport. L’architetto diventato pastore mostra le sue metodologie di lavoro ai neolaureati dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e a coloro che aderiscono a Wwoof (www.wwoof.it WorldWide Opportunities on Organic Farms), un movimento internazionale che mette in relazione volontari e progetti rurali naturali promuovendo esperienze educative e culturali basate su uno scambio di fiducia senza scopo di lucro, per contribuire a costruire una comunità globale sostenibile.

Oltre al kefir di capra, i prodotti caseari sono quattro: la tuma ‘d chabra (di montagna a latte crudo da cagliata presamica, preparata con il latte della mungitura della mattina); il seirass in pezzatura da 300 grammi (è la ricotta estratta dal siero residuo della lavorazione della tuma portata a 90 gradi), il cru ‘d chabra (formaggio fresco a latte crudo da cagliata lattica, preparato con il latte della mungitura della sera, commercializzato da una settimana a un mese di stagionatura), e il re ‘d chabra (formaggio a latte crudo da cagliata lattica re-impastata, preparato con il latte della mungitura della sera, la stagionatura varia da una settimana a due mesi). Sono destinati alla provincia di Cuneo e alla città di Torino: per lo più ristoranti, qualche negozio di qualità, privati che fanno il passaparola. «Vorrei creare un gruppo d’acquisto WhatsApp (348-6925187) per raccogliere gli ordini da consegnare una volta alla settimana nella città di Torino».

TROVARE l’azienda agricola la Servaja non è facile, devi venire a cercarla tra le colline. Ad accogliere il visitatore sono cinque cani bianchi, enormi. I conduttori sono meticci alpini, con grande istinto e per nulla celebrati. Sono loro a muovere il gregge. Appresso a Gian Vittorio c’è sempre Matilde, pelo lungo e occhioni blu. Bokò ed Emma sono invece i guardiani georgiani, provenienti dal Caucaso, servono da deterrente agli attacchi del lupo. Quando accompagno il pastore, su e giù per i pendii, li lega a sé con una imbragatura degna di uno scalatore. All’estraneo possono far paura, ma non abbaiano e al padrone si rivolgono con affetto.

Se nel Vangelo di Matteo il Signore privilegia le pecore e le mette alla sua destra, relegando le capre a sinistra, alla Servaja le capre non sono condannate all’inferno. Quello creato da Porasso è un piccolo paradiso in cui i neolaureati di Pollenzo fanno esperienza e tutti, aderendo alla piattaforma Wwoof e con buona volontà, possono aiutare a caseificare. Il risultato è un prodotto di qualità che trova tra i suoi estimatori torinesi le storiche gastronomie Baudracco e El Canton Dij Formagg, i ristoranti La Limonaia dello chef Cesare Grandi e Il Consorzio.

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