La mattina dopo l’accordo tra Angela Merkel e Horst Seehofer sul «Migration-masterplan» della Csu emerge tutta la fragilità del nuovo patto tra la cancelliera e il ministro dell’Interno. Insieme alla clamorosa mossa del governatore di Monaco, Markus Söder, che ieri ha presentato la nuova polizia di frontiera bavarese.
Il compromesso tra le due anime dell’Union resta incardinato sui tre punti concordati lunedì dopo sei ore di trattative. Primo: alla frontiera con l’Austria divieto d’accesso per i richiedenti asilo le cui procedure sono di competenza di altri Stati Ue. Secondo: ai confini della Bundesrepublik saranno costruiti «centri di transito» con obbligo di soggiorno per i profughi in attesa di essere rimpatriati nei Paesi di primo approdo. Terzo: in caso di rifiuto ad accettare i migranti «di pertinenza» (da parte delle nazioni che non hanno sottoscritto la «coalizione dei volenterosi» costruita da Merkel) i respingimenti avverranno al confine con l’Austria in base all’accordo bilaterale tra Berlino e Vienna.

Sulla carta, è la vittoria di Seehofer su «Mutti» che fino a ieri ha sempre rifiutato di piegarsi al diktat della Csu. Nella pratica, l’opzione rischia di non funzionare e forse neppure di partire, visto che il primo a minacciare strali è proprio il cancelliere austriaco Sebastian Kurz: «Se Berlino introduce misure unilaterali innesca una reazione a catena e ci obbliga a proteggere le nostre frontiere meridionali».

Un messaggio chiaro per Seehofer che domani sarà a Vienna. Ma anche, soprattutto, per il premier bavarese Söder che ieri ha presentato – in pompa magna la polizia di frontiera del suo Land. Uniformi, baschi e mostrine mai visti prima, pronti a diventare operativi già dal 1 agosto.

Una misura ufficiale che trasuda propaganda: la polizia istituita da Söder non sarebbe legalmente in grado di gestire le deportazioni previste da Seehofer, e gli agenti di frontiera bavaresi dovrebbero ricevere obbligatoriamente il via libera dalla Bundespolizei (il corpo federale) che dovrebbe cederle il controllo del confine tedesco ora di sua esclusiva competenza, come ha spiegato ieri alla tv pubblica Ulrich Becker, esperto giuridico dell’istituto Max Planck. Senza contare la legge che «impedisce lo schieramento di qualsivoglia autorità statale fuori dalla Repubblica federale», riassume l’avvocato Hubert Heinhold di «Pro Asyl», l’organizzazione che tutela i diritti dei rifugiati.

Teoria in punta di diritto? Mica tanto. La prova è ufficialmente certificata. Dagli archivi di polizia spunta il recente caso di un profugo «rispedito» dai bavaresi a Kabul il cui rientro è stato bloccato dalle guardie di frontiera afghane, come ha ricordato ieri il legale di «Pro Asyl». Si aggiunge all’analisi del Consiglio Bavarese dei Rifugiati, secondo cui la milizia inventata dal governatore non può allontanare i richiedenti asilo se non violando la Convenzione di Ginevra incardinata sul principio di non respingimento che tutela dai rischi di tortura e persecuzione.

In altre parole, non si può fare. Malgrado il governatore della Baviera rimanga convinto che la sua polizia sia «perfettamente in linea con i principi della Legge Fondamentale», equivalente tedesco della Costituzione. L’unica possibilità, in realtà, è che i reparti bavaresi vengano affiancati dagli agenti federali, gli unici competenti sui respingimenti.

Non sono i soli ostacoli al giro di vite di Csu e Cdu. Il più grande scoglio sulla rotta del «buon compromesso» nell’Union (così lo ha definito la cancelliera) rimangono i socialisti. Nella proposta alternativa della Spd emergono cinque punti distinti e distanti dall’accordo democristiano. Spicca la richiesta di combattere i motivi che alimentano la fuga dai Paesi d’origine, «nessuna azione unilaterale per allontanare i profughi dalla Germania», maggiori aiuti a Italia e Grecia, controlli più rigidi alle frontiere dell’Ue e una nuova normativa che disciplini l’immigrazione insieme al relativo mercato del lavoro. La neo-segretaria Spd, Andrea Nahles, lo ha ripetuto ieri a Cdu e Csu nel vertice della Grande Coalizione tenuto alle 18 nella cancelleria di Berlino. Secondo i socialdemocratici «serve l’intesa con Roma e Vienna» e per il placet all’accordo dell’Union «ci prenderemo tutto il tempo che serve» ha avvertito Nahles. Nulla di definitivo, dunque. Anche perché il trucco giuridico immaginato dai cristiano-democratici (i «non-arrivi» per aggirare l’obbligo di valutare le richieste di asilo di chi giunge in Germania, sul modello del sistema vigente negli aeroporti) si scontra, tra gli altri, con il muro alzato da Kevin Kühnert, leader dei Giovani socialisti, che ha già detto «Nein» a qualunque forma di centro di transito.