Germania 1943, il dramma dell’eroina diventa feuilleton
Berlinale In competizione «In Liebe, Eure Hilde» di Andreas Dresen
Berlinale In competizione «In Liebe, Eure Hilde» di Andreas Dresen
Le pagine dei giornali tedeschi di ieri erano tutte su Navalny: «L’inflessibile» titolava la «Tagesspiele» con la fotografia del dissidente e attivista russo morto ieri in carcere. Intanto le polemiche intorno al festival sembrano per ora essersi calmate.
In concorso è arrivato il primo dei film tedeschi, firmato da Andreas Dresen, il regista di Rabiye Kurnaz Vs. George Bush premiato alla Berlinale nel 2022. Se quel film aveva una cifra di realtà attuale – la storia era quella di un ragazzo turco detenuto illegalmente a Guantanamo e della lotta di sua madre per liberarlo – questo In Liebe, Eure Hilde guarda invece alla Storia della Germania nel secondo conflitto mondiale, attraverso la figura di Hilde Coppi, giustiziata nel 1943 insieme a altre 35 donne perché militante nella resistenza contro il nazismo nel gruppo die Rote Kapelle, l’Orchestra rossa, legato all’Unione sovietica.
«Hilde Coppi non ha agito solo per una posizione politica, ma come essere umano, per amicizia, per amore del marito. La sua resistenza forse non è un grande gesto, ma un piccolo gesto. E anch’io la interpreto con piccoli gesti. Il significato sociale del film sta crescendo solo ora: purtroppo, bisogna dirlo, si adatta bene al presente» ha detto Lisa Fries, l’attrice che dà vita al personaggio.
La Hilde entra infatti nella resistenza quando incontra Hans, i due si innamorano, il fidanzato di lei che è ebreo è fuggito, e Hilde infine sposa Hans da cui avrà un figlio. Il loro amore inizia d’estate, sul lago, il gruppo di amici e militanti è fatto di giovani che alla lotta unisce l’allegria, l’amore, una certa spensieratezza malgrado quanto accade intorno. Hans è comunista, Hilde a volte lo prende un po’ in giro.
La storia vera di Hilde Coppi, giustiziata dai nazisti insieme ad altre 35 donne
POI UN GIORNO li arrestano, Hilde è incinta partorirà in prigione, per loro però l’esito è segnato: pena di morte e nulla vale nel suo caso la richiesta di grazia – suggerita da una delle secondine – con pentimento. La storia in sé ha un suo potenziale ma chissà perché nel confrontarsi col proprio passato il cinema tedesco degli ultimi anni – a parte qualche felice eccezione, pensiamo a film quali Il segreto del suo volto (2024) o Transit (2018) di Petzold, quest’anno giurato nel concorso internazionale – opta per scelte in stile tv movie che vogliono accordare un po’ tutto e offrire conforto e una fruizione facile a chi guarda.
Eccoci così nel paesaggio estivo di vacanza, innamoramenti, sfide alla dittatura nazista dove basta un piccolo cartello di dissenso per essere appunto giustiziati. Gli eroi giovani e belli corrono sul sidecar nella campagna in un accumulo meccanico di flashback che scorrono nella mente della giovane donna ormai in carcere. Oggi/ieri ieri/oggi. Lei un po’ stupefatta sembra compiere tutto per stare dietro a lui ma ovviamente ecco la frase che rivendica la sua autonomia: «Ho anche io una testa, so pensare» – più o meno.
DRESEN che è cresciuto nella Ddr, ove questa parte di storia è stata come lui stesso dice «mitizzata» rendendo spesso i suoi protagonisti quasi dei super eroi, cerca perciò di non enfatizzare, al contrario riduce, restringe, porta le cose su un piano di minimalismo generalizzato, provando anche a rivedere la rappresentazione dei nazisti, mostrati non necessariamente come dei sadici ma anche, con qualcuno tra loro, apparentemente comprensivo per evitare «l’effetto hollywoodiano».
È una scelta, per carità, che produce anch’essa un suo «effetto»; la mancanza di una qualsiasi idea di cinema. E di scrittura, di rilettura della storia che non sia quella di un feuilleton banalizzato.
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