Germaine de Staël  e il «gruppo di Coppet» guardano agli Antichi
Hercules de Roche, ritratto di Benjamin Constant
Alias Domenica

Germaine de Staël e il «gruppo di Coppet» guardano agli Antichi

Saggi «Libertà e liberazione», da Società Aperta
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 5 giugno 2022

Se fu Locke a coniare la formula «governo dell’opinione», è sotto la penna di Germaine de Staël che apparve, alla vigilia del nuovo secolo, l’«opinione pubblica», una forza sociale fluida che, per inveterata pigrizia o spontanea tolleranza, rifiuta di schierarsi con l’una o l’altra parte privilegiando agiatezza e tranquillità. Serve ora che tale prassi, di cui la penisola fu esempio, sia procurata dal legislatore.

Mentre la rivoluzione, giunta alle ultime battute, sfociava nel Direttorio; mentre nasceva la Repubblica cisalpina, Foscolo citava in esergo alla prima lettera dell’Ortis il distico dantesco sull’Uticense («libertà va cercando, ch’è si cara…»). Esule, antinapoleonico come de Staël, l’autore dei Sepolcri pare non abbia mai voluto incontrarla, malgrado le frequentazioni e le idee comuni.

Certo è che la baronessa suscitava al contempo attrazione e rivalità: relegata al confino per essersi improvvidamente immischiata nell’arte di governare, riunì intorno a sé, per tutta risposta, uno stuolo di pensatori, amanti e estimatori provenienti da tutta Europa. Grazie alla «corrispondenza d’amorosi sensi» che vi regnava, questo consesso fu politicamente «organico»: le libertà individuali, illustrate sul piano teorico, cedevano il passo all’amorosa tirannide di lei. Dal 1804 il «gruppo di Coppet» ricalcava così nel suo quotidiano vivere la libertà ‘passiva’ degli Antichi che andava confrontando con quella più matura dei Moderni.

Simon de Sismondi

È al parallelo tra gli Antichi e i Moderni nella gestione della cosa pubblica che alcuni tra i membri più influenti del gruppo, Simonde de Sismondi e Benjamin Constant, si dedicarono, come si legge nei testi raccolti in Libertà e liberazione (a cura di Mauro Barberis, Società Aperta, pp. 155, euro 14,00): il titolo ricalca una sorta di slogan, che rende conto di come un principio stia alla base dell’esigenza di mutamento politico. Il modello e il processo sono qui complementari: l’uno è un’idea, l’altro una possibilità di realizzazione. Come annota Sismondi in La libertà degli italiani nel periodo delle loro Repubbliche (1818), mentre la libertà degli Antichi «aveva per fine la virtù», la libertà dei Moderni, fondata sulla felicità, induce nell’uomo quella quiete che lo rende inetto alle grandi azioni. Dunque, «La migliore lezione impartita dal confronto dei due sistemi è imparare a combinarli».

Nel suo Discorso all’Athénée Royal di Parigi (1819) Constant oppone, esercizio degli Antichi e godimento dei Moderni. Se «ciò che gli antichi chiamavano libertà» altro non era che l’assoggettamento dell’individuo all’autorità del gruppo in funzione della guerra, a questa dovrà succedere il commercio, surrogato amicale della violenza.

Constant vs Bonaparte

L’indiretto bersaglio della critica di Constant è ancora una volta Bonaparte, accusato – malgrado il compromesso da lui attuato tra i principi rivoluzionari e liberali – di aver ricondotto la Francia a un regime bellico ormai superato.

Era l’Italia, mèta eletta del grand Tour e ora teatro di conflitti, a rappresentare appunto agli occhi di questi autori l’esempio antico del buon compromesso tra vizi privati e pubbliche virtù: la libertà imperfetta dell’ingenuus italico si doveva al mero piacere, goduto ma non stimato, del vivere senza catene. Pur bastando a se stessa, l’Italia repubblicana del Quattrocento conteneva in germe «le più grandi cose», e «poteva far nascere uomini che i nostri governi saggiamente bilanciati non produrranno forse mai».

Praticando la divisione dei poteri ben prima che il Montesquieu dello Spirito delle leggi la consegnasse alle costituzioni europee, essa precorreva quel laissez-faire cui accondiscese in Francia Luigi XV allentando le redini del potere monarchico e dando così avvio al moderno regime borghese.

Scrive Sismondi: «un governo è tanto più libero quanto meno se ne avverte l’azione». È in un vigile laissez-faire che a un fanciullo si concede di raggiungere la propria maturità promuovendone, con buoni esempi di condotta, private virtù.

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