Geopolitica del Fondo Monetario a Islamabad
Nuova finanza pubblica La rubrica settimanale di politica economica. A cura di autori vari
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Il Pakistan è un paese importante negli equilibri geostrategici dell’Asia centrale: si pensi alla sua centralità nella destabilizzazione dell’Afghanistan filosovietico negli anni Ottanta e il suo ruolo come base per i taliban in guerra per rovesciare il governo di Kabul asservito agli occidentali nel nuovo secolo; per cui la sua politica interna assume un rilievo particolare. L’assetto sociale presenta povertà e diseguaglianza, ma sul piano economico-finanziario il debito rappresenta uno dei maggiori problemi. Secondo una dinamica riconoscibile per molti paesi poveri il credito estero è andato di pari passo ad una imposizione di modelli neoliberisti: indebitamento senza fine che cresce sempre e una agenda politica di privatizzazioni. Ma già prima del Covid si era raggiunto un punto di rottura: l’allora appena insediato primo Ministro Imran Khan nel 2018 aveva dichiarato che le somme da restituire assorbivano in misura tale da contrarre altri debiti solo per fare fronte agli obblighi di restituzione.
Il Fondo Monetario Internazionale è intervenuto nel paese più di venti volte. Il nuovo premier Khan aveva criticato aspramente le politiche da esso ispirate, ma col peggioramento della situazione fu indetto a nominare ministro delle Finanze Hafeez Shaikh, ex Banca Mondiale e già in carica sotto la dittatura militare di Musharaf e il governo del suo successore. Costretto nell’aprile del 2019 a tornare dal Fondo, il nuovo esecutivo col vecchio tecnocrate avrebbe imposto spietatamente l’austerità, come un taglio del 40% del bilancio dell’istruzione superiore, privatizzazione della sanità e un aumento delle bollette (aumento elettricità del 36%, e prima della guerra in Ucraina). In tal modo Islamabad aveva ottenuto una boccata di ossigeno di 6 mld di dollari.
Una delle condizioni imposte dal FMI era una legge diretta a riformare l’assetto della Banca Centrale del Pakistan (SBP). Il SBP Amendment Bill è stato votato in una dura battaglia parlamentare, e mira a rendere l’istituto indipendente dalle autorità politiche elette. Come limpidamente accade in Ue questa forma di fascismo finanziario procede isolando i più importanti organi decisori dal voto. Il governatore della SBP sotto cui è stata implementato tale provvedimento era Reza Baqir, economista pakistano che ha studiato negli Usa e fatto carriera nel FMI.
Tutto bene quindi per l’oligarchia a stelle e strisce dunque? In realtà non proprio. È notizia di questi giorni che il Pakistan ha ricevuto un carico di gas liquefatto dalla Russia. Il paese, stretto nella morsa di una crisi terribile ha inteso continuare i rapporti con Mosca per ottenere le materie prime energetiche; persino partecipando ad una iniziativa per creare un mezzo di pagamento alternativo a quello in mano agli Usa. Ed ha deciso di restare neutrale nella crisi ucraina, col premier Khan che ha rifiutato di allinearsi ai desideri di Washington come invece i bravi soldatini europei.
Dall’altra parte dell’Atlantico l’hanno presa male, e così… colpo di scena. Nonostante tutti gli sforzi profusi da Islamabad il FMI non molla i soldi. La testata The Intercept ha scovato documenti in cui non solo si conferma di un incontro fra funzionari Usa e l’ambasciatore pakistano, ma si rivela che i primi, imbufaliti dalla visita di Kahn a Mosca, hanno assicurato che i rapporti, così incrinati dalla divergenza sulla guerra si sarebbero potuti appianare se il premier fosse stato sfiduciato: «Penso che se il voto di sfiducia contro il primo Ministro avrà successo, tutto sarà perdonato a Washington perché la visita in Russia viene vista come una decisione del Primo Ministro, altrimenti penso che sarà dura andare avanti» – così avrebbe detto uno di essi.
Immediatamente dopo un voto di sfiducia estrometteva Kahn dalla sua carica, e successivamente il FMI si ammorbidiva stanziando 3 mld di dollari, raccomandando di «mantenere la disciplina sulla spesa primaria rafforzare la sostenibilità del settore energetico allineando le tariffe ai costi, riformando la base dei costi del settore e mirando meglio i sussidi energetici». Ma guarda un po’ la combinazione.
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