Generazioni en travesti
Cannes 69 «Toni Erdmann» di Maren Ade, sorprendente commedia sui sentimenti filiali. Attraverso il rapporto padre/figlia, il racconto del nostro tempo in cui business e neoliberismo determinano le esistenze
Cannes 69 «Toni Erdmann» di Maren Ade, sorprendente commedia sui sentimenti filiali. Attraverso il rapporto padre/figlia, il racconto del nostro tempo in cui business e neoliberismo determinano le esistenze
Chi è Toni Erdmann e perché tutti parlano di lui? Potrebbe essere il titolo di un film godardiano invece la regista è tedesca, si chiama Maren Ade ed è uno di quei pochi nomi in questa edizione 2016 a non essere mai stato pronunciato sulla Croisette. Quasi sconosciuta in Francia come del resto da noi – nonostante un Orso d’argento al precedente Everyone Else e un premio al Sundance al suo esordio, The Forest for the Trees – fino al giorno della proiezione non aveva acceso particolari entusiasmi. E invece bum! alla fine dell’anteprima stampa Toni Erdmann è diventato il Film del festival, il colpo di fulmine che tutti gli accreditati sperano ogni volta di avere – ieri le stellette dei critici francesi l’hanno già incoronato Palma d’oro preferendolo al pure molto amato Rester vertical di Alain Guiraudie.
Tutti pazzi per questa commedia, dunque, e per i suoi protagonisti, la biondissima e severa (nel film) Sandra Hüller il cui chignon troneggia sui manifesti in città, e lo stralunato Peter Simonischek. Eppure Toni Erdmann racconta in quasi tre ore (oltretutto) una storia antica, la relazione tra un padre, Winfred, e una figlia, Ines, che dal genitore ha preso in modo netto le distanze, anzi per sottolinearle esibisce un’attitudine verso il mondo diametralmente opposta. Giovane donna in carriera in una multinazionale tedesca con sede a Bucarest, Ines si occupa di rinnovare le economie locali, il che vuol dire esternalizzazione e licenziamenti. Sui tacchi a spillo e nei tailleur perfetti misura con durezza il suo potere sugli altri – l’amante, la giovane assistente precaria … – salvo poi accettare continue umiliazioni dai superiori convinta che sia il modo migliore per conquistare i suoi obiettivi professionali. Il padre invece, insegnante di musica appena andato in pensione, non si preoccupa molto delle convenzioni, coi suoi scherzi sembra divertirsi a mettere le persone in imbarazzo e a far saltare qualsiasi regola del «gioco sociale».
Nel tentativo inutile di avvicinarsi alla figlia che vede sempre meno – «ho preso una figlia sostitutiva per questo» dirà al potente responsabile della società con cui lei cerca di chiudere un accordo – piomba a sorpresa in Romania ma le sue stranezze e le sue attenzioni lei le detesta. La visita è una catastrofe, l’uomo riparte per la Germania, il film procede un po’ su di lei finché in modo inaspettato – una sequenza da commedia degli equivoci supefacente – il padre torna in campo. O meglio non lui ma il suo «avatar»: parrucca, dentiera che lo fa somigliare a Jerry Lewis, Winfred è diventato Toni Erdmann, improbabile faccendiere con l’aura del clown triste e lo stesso desiderio di scompigliare quell’assurdo rito sociale di infelicità e ipocrisie che la figlia si è imposta. «Quando parli da sola al telefono chiamami» le dice lasciandola annichilita.
https://youtu.be/GVaKNyAS_xI
È sorprendente come Marien Ade in questa trama di sentimenti filiali riesca a trasportare con precisione narrativa, di scrittura, direzione degli attori, regia il sentimento del nostro tempo in cui business globalizzato e neoliberismo determinano rapporti e decisioni anche intime in un calcolo frenetico di ambizioni, ipocrisie, ambiguità.
Basta la sola presenza di Toni Erdmann, sempre fuori posto rispetto al costume che la figlia ha deciso di indossare per provocare fratture inaspettate. I suoi travestimenti a differenza delle maschere della figlia producono sempre un effetto di sincerità. Funzionamento del cinema? Lui che simpatizza col lavoratore rumeno che sarà licenziato dalla figliola tagliateste e che cerca un qualche contatto con le persone, lei che anche il sesso finisce con un’eiaculazione del ridicolo amante sui pasticcini, ennesima prova di forza di chi vacilla a ogni passo senza saperlo o forse sapendolo troppo sono due mondi ormai separati per sempre. Ci può essere amore ma non più trasmissione filiale, quella nostalgia è finita, è un’illusione e non basta scambiarsi la dentiera per ritrovarla.
Generazione Merkel (o Renzi) contro un approccio magari a suo tempo altrettanto cinico che nella sua costante messinscena trova però ancora uno slancio di sincerità. Questo talento di evitare un sentimentalismo luccicante e rassicurante di caldi abbracci e padri (o figlie) ritrovati è la forza di un film che prende infinite direzioni per sorprenderle tutte e mantenere la propria coerenza: una messa a nudo del presente con la risata e il grottesco, crudele suo malgrado ma mischiato a una strana empatia verso la materia umana sgraziata che i due esprimono, commuovente e irritante, dolorosa e impossibile, senza compiacimenti, senza esibire l’alternativa di un universo egoticamente perfetto. Perché non ci sono soluzioni nette, non basta nemmeno la magia di una vecchia maschera però forse qualcosa può ancora muoversi per un attimo. O è ancora un’altra illusione?
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