Gb, la ministra cade sui Windrush
Da un'inchiesta del Guardian Amber Rudd lascia gli Interni dopo lo scandalo sulle quote di immigrati da espellere. A farne le spese i caraibici arrivati tra il 1948 e gli anni Settanta privati all'improvviso di tutti i diritti. May prende le distanze
Da un'inchiesta del Guardian Amber Rudd lascia gli Interni dopo lo scandalo sulle quote di immigrati da espellere. A farne le spese i caraibici arrivati tra il 1948 e gli anni Settanta privati all'improvviso di tutti i diritti. May prende le distanze
Chi di ambiente ostile ferisce, di ambiente ostile perisce. Questo governo si era impegnato, nella persona dell’allora ministro dell’interno, Theresa May, a creare un hostile environment per i migranti del passato, presente e futuro. Di questo ambiente ostile è ora vittima l’attuale stessa occupante di quel dicastero, Amber Rudd, appena dimissionaria.
Dopo quelle di Michael Fallon (Difesa), Priti Patel (Sviluppo internazionale) e Damian Green (vicepremier) da questo sgangherato esecutivo minoritario arrivano dunque le quarte dimissioni. Ma stavolta sono davvero vicine al vertice, trattandosi del dicastero occupato per anni da May stessa prima di installarsi al numero 10 di Downing Street. E non potrebbe essere per una ragione più simbolica e significativa.
Rudd è stata costretta al commiato dopo una serie di rivelazioni pubblicate dal Guardian circa il trattamento della cosiddetta generazione Windrush (da Empire Windrush, il nome di una delle navi che dai Caraibi li portò a Londra dal 1948 agli anni Settanta): chiamati dalla “madrepatria” a ricostruire – materialmente – la Gran Bretagna del dopoguerra, compresa la sanità pubblica (Nhs), a molti di questi lavoratori erano stati negati diritti elementari, compreso quello di lavoro, sussidi e perfino di cittadinanza, tutte cose in cambio delle quali avevano accettato di lavorare sottopagati per ricostruire (sul)le macerie altrui. Tutto questo saltava fuori proprio nelle scorse settimane, mentre finivano i giochi del Commonwealth e i leader di quei paesi erano in visita londinese in pompa magna.
Rudd ha chiesto scusa ripetutamente con una contrizione che sembrava quasi vera, ma non è ovviamente bastato. A rendere inevitabile il gesto la rivelazione che fosse perfettamente al corrente – cosa da lei negata davanti a una commissione parlamentare – dell’esistenza di obiettivi minimi del governo quanto all’espulsione di immigrati “clandestini”. Lo stesso Guardian ha poi reso nota una lettera del 2017 di Rudd a May, in cui la prima assicura alla seconda di voler aumentare le deportazioni dal Paese di un 10%.
Ecco dunque il riconoscimento di aver «inavvertitamente fuorviato» inadvertently misled, il Parlamento, formulato in una telefonata domenica sera di Rudd a May. La pezza è Sajid Javid, il primo ministro dell’interno britannico di origine non europea (come il laburista sindaco di Londra Sadiq Khan è figlio di un autista d’autobus pakistano) a succederle e unico candidato appetibile del partito per mitigare un colpo devastante presso quell’elettorato non bianco, middle class e cristiano senza il quale rischiano di avviarsi verso futura estinzione elettorale.
May cerca ora di mettersi in salvo e distanziarsi da uno scandalo di cui è diretta responsabile e che potrebbe facilmente trascinarla con sé mentre siamo a un passo dalla prossima tornata di elezioni amministrative (si tengono questo giovedì). Ma lo scaricabarile finisce con lei, che di quell’ambiente ostile è la principale, volonterosa scenografa.
Il labour di Corbyn cerca giustamente di capitalizzare e vuole che May si spieghi a Westminster ora che non ha più «lo scudo umano» di Rudd. Sabato 5 Stand Up To Racism ha convocato una manifestazione in solidarietà con la generazione Windrush a Downing Street.
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