Gas serra, rifiuti e sfruttamento dell’interconnessione planetaria
L’universo digitale lascia un’impronta di carbonio che influisce sul riscaldamento globale. Una stima condivisa a livello mondiale, colloca il mondo digitale tra i principali responsabili delle emissioni di CO2. Se, infatti, fosse uno Stato occuperebbe il quarto posto per inquinamento dopo Cina, Usa e India, prima di Russia e Giappone. L’interconnessione globale tra reti di telecomunicazioni e informatiche, ci consente in un attimo di essere collegati in ogni angolo del mondo. In tanti sono convinti che l’universo digitale sia da ritenersi pulito in quanto virtuale, la falsa convinzione è dovuta al fatto che questo mondo è apparentemente immateriale.
NEGLI ULTIMI TEMPI, nel nostro immaginario il rapporto tra rivoluzione digitale e transizione ecologica è ritenuto inscindibile. Eppure, il digitale non è privo di impatto ambientale, aspetto a lungo ignorato in nome dei benefici che controbilanciano gli impatti negativi. Infatti, negli anni passati chi osava sollevare dubbi e fare osservazioni sull’impatto ambientale del digitale, veniva tacciato di conservatorismo e di intralciare il progresso tecnologico. In tanti, soprattutto tra i ricercatori e i docenti universitari sono rimasti isolati, altri si sono adattati.
CHI HA PROVATO A SQUARCIARE il velo del silenzio è Giovanna Sissa con il libro Le emissioni segrete. L’impatto ambientale delle tecnologie digitali ( il Mulino, euro 13). Il settore industriale digitale è tra i più interconnessi, cui si aggiungono i servizi digitali, un universo che richiede grandi consumi di energia elettrica la cui produzione lascia un’impronta non indifferente di CO2. Totalmente ignorato è anche il settore dei rifiuti dell’universo digitale, detti e-waste, in continua crescita e particolarmente difficili da trattare. Infatti, la produzione di e-waste è aumentata del 20% negli ultimi cinque anni.
ANCHE LA COSTRUZIONE dei singoli dispositivi ha il suo peso, perché occorrono risorse naturali non rinnovabili, a partire dall’estrazione di materie prime fino alla produzione dei componenti e all’assemblaggio dei dispositivi. Alcune riflessioni interessanti, Giovanna Sissa, che insegna all’Università di Genova, le fa in merito all’obsolescenza pianificata dalle case di produzione. Infatti i produttori di dispositivi digitali inseriscono fin dal principio accorgimenti per rendere vecchio un dispositivo, che da un certo punto in poi non rilascia più aggiornamenti del software, perciò il dispositivo diventa poco sicuro, un’operazione che induce il consumatore a cambiarlo. In risposta alle «furbizie» dei produttori, prima la Commissione europea e poi il Parlamento in seduta plenaria, il 30 marzo del 2022 hanno approvato una direttiva contro l’obsolescenza programmata. La direttiva, tra l’altro, invita i consumatori a continuare a usare lo smartphone, poiché tutte le funzioni restano valide.
LA FINE DEI DISPOSITIVI, inoltre, provoca un impatto ambientale significativo in termini di inquinamento, cui si aggiunge quello prodotto dalla loro costruzione, la conseguenza è lo spreco delle materie prime non rinnovabili per il loro mancato riciclo, che avrebbe costi piuttosto alti. Le grandi aziende dell’universo digitale si dichiarano green perché fanno ricorso alle fonti rinnovabili, attraverso le reti elettriche «intelligenti» che non sono sufficienti, dunque vanno integrate con altre fonti che lasciano un’impronta di carbonio rilevante.
E’ DIFFICILE QUANTIFICARE con esattezza le emissioni di CO2 di questo mondo, perché gli schemi per i report ambientali sono concepiti per le attività tradizionali, difficilmente per l’universo digitale. Non mancano considerazioni sull’Intelligenza Artificiale. La gran mole di dati, infatti, richiede notevoli risorse finanziarie per il costo del software, un elevato consumo di elettricità per l’elaborazione, dunque un impatto ambientale considerevole, come nel 2019 hanno dimostrato i ricercatori del Massachusetts-Amhrest.
La familiarità che abbiamo con questi oggetti digitali ci rende ciechi di fronte al loro impatto in termini di gas serra, consumi di energia, sfruttamento di risorse non rinnovabili e di produzione di rifiuti che restano «segreti».
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