Da lunedì sera in tutto l’Ecuador vige lo stato di eccezione, con coprifuoco dalle 23 alle 5. Il presidente Daniel Noboa ha annunciato la decisione al termine di due giorni convulsi: domenica si è scoperto che José Adolfo Macías Villamar, conosciuto anche come “Fito”, capo del gruppo dei Los Choneros e reputato il criminale più pericoloso di tutto il paese, era fuggito dalla prigione di Guayaquil.

LUNEDÌ MATTINA sono invece scoppiate rivolte in sei istituti penitenziari del paese. In poche ore, i video delle guardie penitenziarie prese in ostaggio dai detenuti e sotto minaccia di coltello rimbalzavano sui social media.
«Quello che stiamo vivendo nelle carceri è il risultato della decisione di fronteggiare i gruppi narcoterroristi», ha dichiarato in un videomessaggio Noboa, che si trova ad affrontare la crisi più grave a un mese e mezzo dall’inizio del suo governo.

Con lo stato di eccezione, l’esercito può essere mobilitato a supporto delle operazioni di polizia, sia nelle carceri che per le strade. Si sospendono inoltre l’inviolabilità del domicilio, della corrispondenza e la libertà di associazione per una durata di 60 giorni.

MA IL MESSAGGIO DI NOBOA non sembra aver sortito l’effetto desiderato: nella notte fra lunedì e martedì, tre poliziotti in servizio sono stati sequestrati da ignoti nelle città di Machala, mentre un altro veniva catturato nella capitale di Quito. Allo stesso tempo, vari veicoli venivano dati alle fiamme e ordigni esplosivi detonavano in otto provincie. Uno di questi è esploso di fronte all’abitazione del presidente della Corte Nazionale, Iván Saquicela.

Dopo poche ore, 32 persone fuggivano anche dalla prigione di Riobamba. Fra queste anche Fabricio Colón Pico, leader del gruppo criminale dei Los Lobos, accusato proprio pochi giorni prima dalla Procuratrice generale dello stato, Diana Salazar, di stare pianificando il suo assassinio.
Noboa è stato eletto a sorpresa lo scorso ottobre con il supporto di una coalizione di partiti di centro destra e con le promesse di riattivare l’economia e riportare la sicurezza nel paese. Il suo asso nella manica doveva essere il cosiddetto Piano Fenix, con la creazione di una nuova centrale di intelligence. Ma già il primo gennaio era evidente che la luna di miele fosse finita, dopo che la polizia aveva confermato 50 omicidi in un solo giorno.

STRETTO FRA PAESI PRODUTTORI di cocaina come Colombia e Perù, l’Ecuador è diventato negli anni un punto di snodo fondamentale per il narcotraffico internazionale. Secondo l’Osservatorio ecuadoriano sul crimine organizzato, i gruppi locali hanno legami con i maggiori cartelli messicani e internazionali, da Sinaloa a Jalisco Nuova Generazione, fino alla mafia balcanica. Gli scontri fra bande rivali e gli omicidi hanno iniziato così a crescere rapidamente dal 2019. Con un tasso di morti violente superiore a 40 ogni 100.000 abitanti, alla fine del 2023 l’Ecuador si è così aggiudicato, secondo l’esperta di sicurezza Carolina Andrade, il triste primato di paese più violento dell’America latina.

A dicembre, il governo aveva annunciato un’importante riforma penitenziaria e l’inizio della costruzione di due carceri di massima sicurezza sullo stile di quelle adottate dal presidente del Salvador Nayib Bukele. Uno dei suoi obiettivi dichiarati era di separare i prigionieri più pericolosi dai detenuti comuni.

«GLI AVVENIMENTI di questi giorni sembrano essere effettivamente una conseguenza diretta di queste azioni: cercano di colpire il morale del governo e la sua capacità di agire sul sistema penitenziario», dice al manifesto Daniel Ponton, esperto in sicurezza dell’Istituto di Alti studi Nazionali. Per Ponton, l’attuale situazione è comprensibile solo alla luce del fatto che le carceri siano diventate ormai dei centri operativi dei gruppi criminali.

Nonostante Ponton riconosca la validità di alcune delle azioni intraprese dal governo, come i cambi effettuati nel comando della polizia e dell’esercito, crede che non sia stato finora in grado di dimostrare un approccio strutturato per riportare la sicurezza nel paese. Un esempio lampante di questa incapacità sarebbe il fatto che la cartella del ministero dell’interno sia nelle mani della ministra di governo, Monica Palencia, mentre il direttore del Centro di intelligenza strategica è un imprenditore del caucciù. «Tutto questo ha creato un’aura di improvvisazione attorno al governo, e credo che i cittadini inizino a essere preoccupati», lamenta Ponton.