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Gabriele Galimberti, più armi che persone nei ritratti americani

Gabriele Galimberti, più armi che persone nei ritratti americaniGabriele Galimberti dalla serie «The Ameriguns»

Intervista Il fotografo toscano racconta il suo viaggio-progetto fotografico «The Ameriguns»

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 20 agosto 2022

Dall’Arizona alle Hawaii, dalla California al Nevada, dalla Carolina del Sud all’Indiana: tanti sono stati gli incontri di Gabriele Galimberti (Arezzo 1977). Momenti e situazioni diverse in cui il fotografo, che collabora dal 2016 con il National Geographic e fa parte del collettivo Riverboom, ha messo in posa i «collezionisti» americani di armi da fuoco con i loro armamenti. Galimberti è andato all’interno degli spazi domestici, ville o monolocali, nelle camera da letto o a bordo piscina, sul terrazzo con lo sfondo delle tavole da surf o nel salotto vicino al caminetto e al pianoforte. Nel raccontare quest’evidenza, durante due viaggi nel 2019 (il primo di circa 20 giorni e il secondo di quasi due mesi), ha prodotto degli scatti in digitale, in medio formato, con cui ha vinto il World Press Photo 2021 nella categoria «Portrait Stories» e prima ancora, nel 2020, il Premio Amilcare G. Ponchielli. Pubblicati nel libro The Ameriguns (ed. italiana Skinnerbooks, 2022) la serie è esposta a Palazzo Baldelli nell’ambito di Me, Myself and Eye, XII edizione di «Cortona On The Move» – festival internazionale di fotografia organizzato a Cortona dall’associazione culturale ONTHEMOVE (fino al 2 ottobre) con la direzione artistica di Paolo Woods in collaborazione con Veronica Nicolardi. «Persone che non sono ironiche: sono orgogliose», afferma il fotografo parlando dei protagonisti di questo inquietante «fenomeno trasversale».

Come nasce «The Ameriguns»?
In questa storia sono un po’ inciampato, anche se da vent’anni frequento gli Stati Uniti, un paese che amo. Nel 2019 ero lì per fotografare, per il National Geographic, i collezionisti di ossa di dinosauri. La mia specialità, come fotografo, è entrare in casa della gente e frugare nei cassetti. Fotografo le persone con le cose di cui si circondano: ho fatto progetti sui bambini con i giochi, il cibo, le medicine… In Kansas avrei dovuto fare due scatti diversi a distanza di qualche giorno l’uno dall’altro. Nella pausa tra questi due momenti, un po’ perché ero annoiato e un po’ per curiosità, sono entrato in un negozio di armi. In tutti questi anni, negli Stati Uniti, avrò visto migliaia di negozi di armi, ma non c’ero mai entrato.

Lì ho scoperto un mondo. Mi aspettavo un negozio che vendeva pistole, invece alle pareti c’erano mitragliatori, armi da guerra, bazooka… Mi sembrava di essere entrato in un magazzino dell’esercito. Ho cominciato a parlare con alcuni clienti. Ce n’era uno che stava comprando una pistola, era alla cassa, mi sono avvicinato e ingenuamente gli ho chiesto se fosse la prima che acquistava. Quello mi ha guardato e ha risposto che a casa ne aveva sessanta! D’istinto mi è venuto di chiedergli se potevo andare a fargli una foto. «Come over» mi ha risposto. Quindi, un’ora dopo, ero a casa sua e ho fatto la prima foto senza avere idea che avrei fatto un progetto. Un paio di giorni dopo, riguardandola, mi sono chiesto se ero finito a casa di un collezionista, un folle, un fanatico oppure era qualcosa di normale negli Stati Uniti. In Texas, dove nel frattempo mi ero spostato, ci ho riprovato. Sono entrato in un negozio di armi e ho parlato con dei clienti. C’era una ragazza che mi ha detto di avere settanta armi da fuoco. «Posso farti una foto?», le ho chiesto. «Come over», ha risposto lei. Stessa storia.

Hai colto l’orgoglio in chi possiede armi da fuoco?
Sono super orgogliosi! Quelli che ho fotografato lo sono sicuramente, ma credo anche le persone che non ho fotografato, perché dicono a gran voce di possedere armi. Subito dopo ho cominciato a fare delle ricerche e documentarmi. In cinque minuti ho trovato cose che non sono difficili da scoprire, ovvero che negli Stati Uniti ci sono più armi che persone. Sono 400 milioni le armi registrate ad uso privato, escluso quindi l’esercito, la polizia e le guardie armate. È il numero di armi che la gente ha in casa! Su 327 milioni di abitanti, i possessori sono 1/3 della popolazione. Magari c’è la persona che ha solo un’arma da fuoco e chi, invece, ne possiede venti, trenta o settanta. Mi sono incuriosito a questa fetta della popolazione e sono andato a cercarla.

Chi sono i «collezionisti» di armi?
Forse in tutte le foto esposte, l’unica vera collezionista è una sola perché possiede armi storiche che hanno sparato in determinate guerre. In genere si tratta di armi quasi senza valore, come l’AR-15 un fucile semiautomatico di plastica che spara 30 colpi al secondo. Un’arma divertente per sparare alle lattine nel deserto, ma che non ha certo un valore da collezionista. Per alcune persone possedere le armi è un vero e proprio rapporto d’amore. Sanno, ovviamente, quello che sono ma non le percepiscono in un senso negativo, come la maggior parte della gente. Per loro le armi sono strumenti di uso quotidiano presenti da sempre in casa. Fanno parte della loro cultura, Avere anche cinquanta pistole, per loro, è come per mia mamma avere altrettante pentole. L’accumulo diventa una sorta di ossessione. Alcuni descrivono i dettagli in maniera maniacale. In buona parte, avere armi fa parte di una certa identità dell’essere americano. «È scritto nella Costituzione che possiamo avere le armi, quindi le abbiamo», dicono.

Entri nelle loro case per fotografare le armi, ma il set sei tu a comporlo. In questo caso entra in gioco non solo l’aspetto documentario, anche la creatività della composizione?
Sì, il set è totalmente mio. La prima volta che ho usato questa formula visiva per mettere in ordine qualcosa è stato con il progetto sui bambini e i loro giochi (Toy Stories: Photos of Children from Around the World and Their Favorite Things). The Ameriguns è un ulteriore capitolo di serie di foto «ordinate».

Il senso dell’ordine da dove proviene?
Forse viene dal mio DNA. I miei neuroni disordinati si mettono insieme per fare ordine (sorride). A casa non sono così ordinato, anzi sono un po’ un disastro, però quando fotografo se dentro il mirino non c’è ordine non scatto la foto. È un po’ il mio filtro e una buona fetta delle mie storie di reportage hanno un approccio che descrivo spesso come «info grafica». Fotografo delle persone, ma soprattutto dei numeri.

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