Internazionale

G20, la vittoria di Modi. Meloni e Li ripartono dal «partenariato»

Giorgia Meloni e Narendra Modi al G20 di Nuova Delhi foto di Evan Vucci/ApGiorgia Meloni e Narendra Modi al G20 di Nuova Delhi – Evan Vucci/Ap

Il vertice di Delhi Nella Dichiarazione finale nessuna condanna dell’invasione russa dell’Ucraina. Biden presenta una Via della Seta «alternativa»

Pubblicato circa un anno faEdizione del 10 settembre 2023

«Con l’adozione della Dichiarazione di Delhi, è stata creata la Storia. Uniti nel consenso e nello spirito, ci impegniamo a collaborare per un futuro migliore, più prospero e armonioso. La mia gratitudine va a tutti i membri del G20 per il loro sostegno e la loro cooperazione». Tutto si potrà dire di Narendra Modi ma non che non abbia saputo fare del G20 in India un piccolo capolavoro diplomatico che ha restituito al mondo, come il premier indiano desiderava, l’immagine di una nazione che siede a buon diritto nei primi posti della platea mondiale. Una nazione in grado di aprire le porte al “Global South”, la fetta di pianeta esclusa dai grandi vertici che ora – nella visione di Modi – ha nell’India l’avvocato dei suoi diritti.

AL NETTO degli equilibrismi lessicali della Dichiarazione finale, dell’assenza di Xi Jinping (e Putin), delle difficoltà di un futuro gravato dalle ombre del conflitto in Europa e della nuova guerra fredda nell’Indo Pacifico, Modi non è solo stato in grado di portare a casa una dichiarazione congiunta già al primo giorno del summit, ma ha giocato un asso sin dalle prime ore di ieri: invitando l’Africa ad aggiungersi al tavolo dei grandi, offrendo all’Unione Africana lo status di membro permanente nella persona del presidente comoriano Azali Assoumani in rappresentanza di 55 Paesi. Secondo gruppo multinazionale del G20 con l’Unione Europea.

LA DICHIARAZIONE finale è un buon equilibrio diplomatico che sulla guerra ucraina dice tutto e niente, ma c’è: si rifà al G20 di Bali dell’anno prima (dove la firma fu sofferta fino all’ultimo) e all’Onu «per agire in modo coerente con gli scopi e i principi della Carta delle Nazioni unite». Nel testo si dice che gli stati devono astenersi dalla minaccia o dall’uso della forza e del nucleare per cercare di acquisire territori violando l’integrità territoriale e la sovranità o l’indipendenza politica di qualsiasi Paese ma dice anche che sulla crisi ucraina «ci sono state opinioni e valutazioni diverse». La stessa formula di Bali che però condannò l’aggressione. Si lodano gli sforzi di Turchia e Onu per gli accordi con Mosca sul grano e si dice che risoluzione pacifica dei conflitti, diplomazia e dialogo sono fondamentali ma, nelle 29 pagine del testo, il termine «invasione» non compare mai. Un equilibrismo che accontenta tutti e non scontenta nessuno (tranne gli ucraini che lo hanno subito criticato) e che, soprattutto, è stato negoziato a tempo di record. Non c’è nulla sul contenzioso nel Mar Cinese meridionale. Anche qui nessuno scontento. Quanto ai cinesi, Modi porta però a casa il risultato di non aver dovuto sorridere a Xi Jinping, cosa che gli ha invece permesso di fare gli occhi dolci a Joe Biden. Ricambiato.

BIDEN dal canto suo porta a casa una sorta di Via della Seta alternativa al progetto cinese della Belt and Road Initiaitve (Bri). Presentato alla vigilia del vertice, si tratta di un accordo tra Usa, Ue e altri partner mediorientali per un ampio progetto ferroviario e marittimo che collegherà l’Europa al Medio Oriente e all’India. C’è un bel dire che non sia alternativo alla Bri, come gli Americani han voluto sottolineare: ricalca il percorso Asia-Europa un po’ più a Sud.
A proposito di Bri, la premier italiana Giorgia Meloni ha incontrato il suo omologo cinese Li Qiang.

DOPO AVER incassato gli elogi nella bilaterale con Modi secondo cui «India e Italia continueranno a lavorare insieme per la prosperità globale». Nonostante Roma voglia ritirarsi dal progetto rinnegando il Memorandum siglato dal governo Conte, Pechino è disposta a collaborare per promuovere scambi commerciali e investimenti reciproci. «Forti entrambe di una storia millenaria, Italia e Cina condividono un Partenariato Strategico Globale – recita la nota di Palazzo Chigi – di cui il prossimo anno ricorrerà il 20esimo anniversario… Costituirà il faro per l’avanzamento dell’amicizia e della collaborazione tra le due nazioni». Antonio Tajani, che ha visitato la Cina all’inizio di questa settimana, ha già del resto ribadito che un partenariato strategico sarebbe più prezioso della Bri. I media cinesi non la menzionano ma, riferendo dell’incontro, scrivono che Li ha espresso la speranza che Roma fornisca un ambiente imprenditoriale «equo, giusto e non discriminatorio» affinché i cinesi possano fare affari in Italia.

L’ambiente? Poco. La dichiarazione non contiene alcun impegno per eliminare i combustibili fossili.

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