I fuochi sulle cupole del Cremlino offrono un’istantanea ad alta risoluzione, tanto epocale quanto controversa.
Per la prima volta un attacco di Kyiv in territorio russo non colpisce le capacità militari che Mosca proietta contro le città ucraine, ma prende di mira un obiettivo politico: anzi l’obiettivo supremo, un Vladimir Putin che si appresta alle celebrazioni del 9 maggio.

E che fatica ad esibire persino la conquista completa di Bakhmut, la città-tritacarne. In realtà la preparazione della parata per la vittoria nella Grande Guerra Patriottica già procedeva fra timori di attacchi, tanto che il sindaco di Mosca ha annunciato l’interdizione dell’uso di droni. Restringendo il raggio di volo, c’è la possibilità che si sia trattato dell’azione più spettacolare condotta dalle fantomatiche formazioni partigiane russe, le stesse che nei mesi scorsi hanno rivendicato una serie di incendi ed attacchi ad infrastrutture sensibili sul suolo patrio. Infine, si può seguire la pista delle dottrine di guerra non lineare che il burattinaio Vladislav Surkov presentò al Cremlino prima di cadere in disgrazia: in guerra lo scopo non è vincere il nemico, ma gestire il processo bellico così da destabilizzare la percezione pubblica confondendo le piste, oscurando la verità.

Non è del tutto implausibile lo scenario di un’operazione false flag, ordita dai russi stessi nell’imminenza dell’annunciata controffensiva ucraina, per mostrare al mondo e all’opinione pubblica dell’Occidente che Kyiv agisce in modo scellerato, incoraggiata ad agire irresponsabilmente da armi e munizioni inviate dalla Nato. Una provocazione alla quale la Russia non potrà che rispondere in modo massiccio. La verità è che, come già per il bombardamento del gasdotto Nordstream, o come per i razzi sugli impianti nucleari di Zaporizhizhia, anche questa volta la logica escalatoria degli eventi punta dritto verso la ricerca di episodi eclatanti, e sarà difficile districare il groviglio di versioni fondate su evidenze che tendenzialmente non spostano l’opinione di nessuno.

Ci sono però alcuni dati di fatto con cui fare i conti. Per un regime fondato sulla ‘verticale del potere’, impegnato a far rivivere la tradizione dell’autocrazia zarista e ad enfatizzare la distanza fra l’uomo forte e tutti gli altri, le esplosioni nel cielo sopra il Cremlino portano un messaggio nefasto: non ci sono santuari irraggiungibili. Nemmeno l’apice del potere è al sicuro finché continua l’occupazione.

Difficile pensare che qualcuno abbia puntato a stanare il leader russo al Cremlino, dove dimora di rado: si tratta piuttosto della gestione del potere comunicativo della violenza, della sua valenza esemplare e spettacolare. Così l’attacco viene ufficialmente stigmatizzato come terrorismo da parte di un regime, quello ucraino, che va spazzato via. Dmitri Medvedev, al solito, ci mette del suo, sostenendo la necessità di «eliminare Zelensky». I blogger ucraini raccolgono la sfida e rispondono: «Ora cosa farete, cercherete di invaderci? Proverete a bombardare Kyiv? Vi lascerete dietro scie di tortura e morte?».

In realtà da giorni le cronache raccontano un Zelensky barricato, più nervoso del solito negli spostamenti, evidentemente informato della plausibilità di trovarsi a sua volta nel mirino. Ricordiamo come nelle primissime ore dell’invasione Mosca abbia cercato di toglierlo di mezzo con un blitz di un drappello di forze speciali. In quei giorni Vladimir Putin evitava di palesare una catena di comando militare in Ucraina, sperando di accreditarsi come comandante in capo di un’operazione militare di fulmineo successo. Più di 400 giorni dopo, anche se le forze armate russe (che alcuni media italiani chiamano l’Armata Russa, con un’imbarazzante traduzione dall’inglese) sono ferme lungo una linea del fronte dove si accatastano cadaveri e si aspettano munizioni. Il Ministro della Difesa Shoigu ormai emula apertamente la strategia ucraina, annunciando nuove commesse per produrre missili ad alta precisione in grado di colpire i rifornimenti e la logistica degli ucraini.

Difficilmente si può sostenere che il diritto bellico metta Putin, il comandante in capo, al riparo rispetto ad una lista dei legittimi obiettivi. Zelensky ribadisce che l’esercito ucraino combatte solo per liberare le proprie città e i propri villaggi. Il numero di perdite militari stimate (centinaia di migliaia) ci parla di una fase di combattimenti soprattutto fra gli eserciti, con innumerevoli violazioni dello ius in bello. Entrambi i combattenti hanno in riserva colpi ed armi a sorpresa, ed è difficile prevedere gli sviluppi, e di quale capacità e precisione di fuoco disponga Mosca nei giorni che ci attendono. Nell’imminenza dell’offensiva più attesa, la guerra presenta la sua faccia di simulazione e dissimulazione.