Internazionale

Fuga in Siria, ma Israele colpisce

Un veicolo dell’esercito libanese a Dahiyeh, quartiere di BeirutUn veicolo dell’esercito libanese a Dahiyeh, quartiere di Beirut – Hussein Malla /Ap

Reportage Sono già più di 300mila gli sfollati libanesi costretti a cercare riparo nel paese di Assad. Un destino disperato, sul quale l’aviazione di Tel Aviv si accanisce: due missili hanno scavato profondi crateri per cercare di bloccare i fuggitivi. In trappola

Pubblicato un giorno faEdizione del 8 ottobre 2024
Sabato AngieriMasnaa (confine libanese-siriano)

Un bambino che aiuta il vecchio padre a portare un trolley sfondato sforzandosi di non mostrarsi stanco. Un altro che fa la guardia alle valigie mentre la nonna attraversa il burrone lasciato dai missili israeliani. Una terza che tiene stretto lo zaino con un orsacchiotto consumato cucito sull’apertura.

La strada che da Masnaa porta alla Siria è una lunga teoria di umanità sofferente in fuga.

Le donne hanno il velo, lungo e nero lascia scoperte solo facce stanche e mani callose. Alcune provano a portare i bagagli sulla testa e ci riescono benissimo, nonostante e i detriti degli spartitraffico di cemento bianchi e rossi. Ma quando arrivano alla soglia delle fosse profonde lasciate dai raid israeliani, anche loro devono arrendersi a usare le mani per tenere fermi i fardelli. Si voltano appena verso di noi, due colleghe francesi che stanno realizzando un documentario chiedono un’intervista ma poco dopo arriva un ragazzo che quasi gli fa cadere la telecamera. Le donne continuano piegate in avanti con la lunga tunica sferzata dal vento polveroso del valico.

DA UN LATO E DALL’ALTRO le alture dei monti libanesi. In fondo, dove i detriti non minacciano gli pneumatici, ci sono automobili e autobus fermi ma la conformazione del luogo non lascia intravedere nulla oltre la curva. Si sa che a qualche chilometro c’è la Siria ma non la salvezza. Solo la tranquillità di non essere colpiti in testa da un missile israeliano.

«Adesso per dieci minuti niente camerà, ok?», dice un ragazzo con un tono a metà tra un consiglio e un ordine. Arriva una grossa Jeep, poi un’altra. Si fermano a ridosso del cratere e dal lato verso la Siria accorrono una decina di uomini trafelati. Parlano tra di loro rapidi e perentori. Iniziano a scaricare boccioni di plastica da sei litri, di quelli che si usano per l’acqua ma carichi di benzina. Dall’altra parte uomini ben vestiti con la barba curata e gli occhiali da sole su camicette pulite.

Mentre il primo gruppo organizza una catena umana per passare la benzina il secondo contratta (poco e in fretta) e conta biglietti di dollari. Perché questo carico da centinaia di litri di benzina sia trasferito dal Libano alla Siria resta un mistero. Nessuno ci parla, qualcuno ci controlla e urla alle francesi di abbassare la telecamera nonostante loro stessero provando a intervistare delle famiglie di sfollati. L’operazione dura in tutto venti minuti.

INTANTO NEI BURRONI gli sfollati continuano a passare arrancando sotto il peso dei bagagli. Qualcuno ci aveva detto che i contrabbandieri chiedono 60 dollari per far passare una persona. I contrabbandieri ci dicono che non chiedono nulla, che non sono le persone – «la nostra gente» li definisce un uomo – a interessargli, che li aiutano come possono senza chiedere nulla in cambio. Un’anziana ci racconta che le hanno chiesto 15 dollari, ma quando arriva un ragazzo, forse il figlio, la donna viene portata via.

Alla maggior parte dei palestinesi del Libano, distribuiti in 12 campi sul territorio nazionale per un totale di almeno 450mila individui secondo l’Onu, non è mai stato concesso il passaporto libanese. Tuttavia, un numero imprecisato di questi profughi di vecchia data nei lunghi decenni di sostanziale controllo siriano sulla politica libanese hanno ottenuto il passaporto di Damasco.

Ad oggi sono oltre 300mila gli sfollati interni che secondo il ministero della Salute libanese hanno lasciato il Paese dei cedri verso la vicina Siria. Venerdì 4 ottobre Israele ha colpito con almeno due missili di grosso calibro a circa 700 metri dall’ultimo check-point libanese e a circa 5 km dal confine vero e proprio. Due grossi crateri di almeno 10 metri di diametro per 5 di profondità ora interrompono le strade in entrambi i sensi di marcia e si può passare solo a piedi. Durante il tempo che abbiamo trascorso in quella piccola porzione di terra di nessuno abbiamo visto passare decine di persone in stampelle o con il bastone, anziani e malati che per fortuna erano supportati dalla Mezzaluna Rossa durante la discesa e la risalita seguente.

I DIPENDENTI della Mezzaluna rossa non hanno voluto rilasciare dichiarazioni. Nulla di troppo strano, neanche la Croce Rossa lo fa nei contesti bellici, ma era il contesto a essere molto insolito. «Significherà che le merci che normalmente arriverebbero via terra attraverso quel valico – il modo più economico ed efficace per portare i prodotti nel Paese – non potranno essere ricevute lì» ha dichiarato alla Bbc Matthew Hollingworth, direttore del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite. Israele ha giustificato l’attacco sostenendo che così ha interrotto la catena di rifornimenti a Hezbollah dalla Siria.

«Un attacco israeliano contro un obiettivo militare legittimo può ancora essere illegale se si prevede che possa causare danni immediati ai civili, sproporzionati rispetto al guadagno militare previsto» ha dichiarato Human Rights Watch in un comunicato. Se Hezbollah avesse usato il valico per trasferire armi, continua l’organizzazione, «anch’esso potrebbe non aver preso tutte le precauzioni possibili per proteggere i civili sotto il suo controllo». Lama Fakih, di Hrw ha sichiarato ieri che rendendo inaccessibile il valico di frontiera quando «centinaia di migliaia di persone stanno fuggendo dai combattimenti e molte altre hanno bisogno di aiuti, l’esercito israeliano minaccia un considerevole danno ai civili».

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento