Frustrazione e impotenza, ecco la generazione degli «ecoansiosi»
Spagna Tre comunicatori scientifici di fronte alla paura della «rovina ecologica»
«Apocalisse di calore». Ieri il Guardian usava questa espressione per descrivere quello che sta accadendo nell’Europa del sud. Sempre ieri, il ministero della sanità spagnolo calcolava che l’inusuale ondata di calore che sta colpendo la Spagna ha già causato più di 500 morti tra il 10 e il 16 luglio.
Senza contare l’operatore ecologico precario di 60 anni morto a Madrid per un colpo di calore per le temperature estreme a cui era stato costretto a lavorare. Gli incendi hanno già distrutto più di 100mila ettari di boschi in tutta la Spagna, e proprio ieri il presidente del governo Pedro Sánchez chiosava: «il cambiamento climatico uccide».
Già, perché se c’è una cosa che le temperature estreme, gli incendi, la crisi energetica e persino l’inflazione di questi giorni mettono in evidenza è che l’emergenza climatica è già qui. La pensa così anche un terzetto di giovani comunicatori scientifici che si dicono affetti da «ecoansia», una paura cronica della rovina ecologica prossima ventura mescolata a un sentimento di grande frustrazione e impotenza.
Mario Juárez, Pablo Izquierdo e Bruno Martín, tre giovani nati tutti dopo il Summit della Terra di Rio del 1992, la prima conferenza mondiale dei capi di stato sull’ambiente, quest’anno hanno deciso di condividere le loro ansie in un podcast che hanno chiamato Ecoinsomnes («Ecoinsonni»).
«Mi arrabbio moltissimo ogni volta che ascolto chi sminuisce l’impatto di queste inusuali ondate di calore dicendo che fa caldo perché è estate», dice Mario. «È possibile che forse dove vivi tu le temperature non siano cambiate, ma i dati parlano chiaro: la temperatura media del globo è cresciuta, anche se non in modo uniforme. Come spiega il meteorologo Juán Jesús González Alemán, oggi la frequenza delle ondate di calore è quasi triplicata rispetto al periodo preindustriale e la temperatura che si raggiunge è maggiore». Pablo aggiunge che «certamente ci sono state altre ondate di calore nel passato, ma non così intense, né così presto». La prima ondata di calore di quest’anno in Spagna è arrivata prima dell’inizio dell’estate.
Anche gli incendi non sono più quelli di una volta. Secondo una ricerca pubblicata recentemente sulla Reviews of Geophysics, la frequenza e la gravità dei grandi incendi forestali sono aumentate in tutto il mondo. Negli ultimi 40 anni è raddoppiato il numero di giorni con rischio estremo di incendio in tutta la conca mediterranea. «È chiaro che la cura dei boschi, le risorse dedicate a combattere gli incendi e la gestione del territorio sono importanti», dice Pablo. «Ma ancora una volta la radice del problema è che è il cambiamento climatico a favorire le condizioni estreme».
Secondo il gruppo di «ecoansiosi» è infatti una falsa dicotomia quella di chi crede che ci siano problemi ben più gravi di quello climatico.
«Occuparsi del problema del cambiamento climatico vuol dire occuparsi di tanti altri problemi: di disuguaglianza socioeconomica, di salute pubblica, del problema energetico, di quello geopolitico o delle città che non sono preparate ad affrontare temperature estreme», dice Mario. «La crisi climatica non è affatto un lusso».
Per non parlare della crisi agroalimentare: «Che mangeremo se la siccità ci distrugge i raccolti?», si chiede Pablo. «Sono problemi tangibili, che spiegano la nostra preoccupazione, come quella degli scienziati che poche settimane fa protestavano davanti al Congresso a Madrid».
Oltre a mitigare, cioè frenare l’aumento della temperatura, bisogna anche adattarsi alle conseguenze che sono già qui, spiegano, come sta facendo per esempio Barcellona. Che offre quasi 200 «rifugi climatici», zone a meno di 10 minuti a piedi per il 92% della popolazione dove trovare riparo: edifici pubblici con aria condizionata e sedie, o parchi al fresco con acqua e panchine, tutti accessibili soprattutto per la popolazione più fragile.
«Il concetto di rifugio climatico mi affascina», dice Mario. «Da un lato mi preoccupa, perché è la materializzazione del futuro distopico in cui il clima è il nostro nemico e dobbiamo rifugiarci nelle nostre città, ma dall’altro mi dà speranza: alcune amministrazioni si stanno muovendo verso un futuro in cui non solo i più ricchi possano proteggersi e in cui ci siano sempre più alberi e zone verdi. Anche questo è combattere contro il cambiamento climatico».
E non è una moda giovanile: per continuare con la nostra vita, come spiega Bruno, bisogna fare qualcosa. E forse ripensare al modello di sviluppo della nostra società.
«Una non basata sul consumo di combustibili fossili ma su energie rinnovabili, che sia più efficiente. Ma anche in cui il consumo non sia la priorità, e in cui dovremo cambiare la nostra dieta. Sarà una vita diversa, ma non ci sono alternative: questo è l’unico futuro possibile», conclude Pablo.
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