Nella Barcellona del 1952, oppressa dagli strascichi di un dopoguerra che ancora stenta a cedere il passo, in pochissimi possono dire di conoscere Fructuós Gelabert. Colui che lo storico Carlos Fernández Cuenca non tarderà di lì a poco a presentare come l’artefice primo della cinematografia spagnola (cfr. il saggio Fructuoso Gelabert, fundador de la cinematografía española, 1957), vive da molti anni ai margini del consorzio civile, privo del benché minimo sostegno previdenziale, circondato unicamente dall’affetto protettivo dei figli.

Restio a parlare di cinema, persino con quanti, essenzialmente studiosi dalla flemma pedantesca, sono soliti avvicinarlo mossi dall’ambizione di estorcergli qualche testimonianza sui tempi che furono, Gelabert ha sprofondato l’autunno della vita in un’indocile amarezza, vinto dall’indifferenza con cui le sue ricerche sono state accolte da quei soggetti potenzialmente deputati a finanziarle (si veda il progetto, inseguito sin dai primi anni del secolo e frustrato a più riprese, non ultimo dalla morte del suo autore, di un cinema «in rilievo», ideale antenato del 3D o comunque di un procedimento che potesse infondere nelle immagini un marcato effetto di profondità).

Frattanto le sue opere, realizzate nel periodo 1897-1928 (se ne stimano più di centoquaranta), molte delle quali travolte dalla furia distruttrice del tempo, erano state consegnate a una difficile accessibilità. Nell’indistinto magma di queste imprese, anche il primo film spagnolo a soggetto, Riña en un café [Rissa in un caffè], girato nell’agosto 1897 e andato definitivamente perduto.

Ebbene sì, la storia del cinema iberico è stata edificata sulla messa in scena di una zuffa. Un conflitto destinato, suo malgrado, a farsi sineddoche visiva delle divisioni che avrebbero infiammato il tessuto sociale del Paese lungo tutto il corso del Novecento (e ancora oltre: si pensi ai più recenti scontri tra forze indipendentiste e unioniste in Catalogna). Per la cronaca: la baruffa messa in scena da Gelabert culminava in una vigorosa stretta di mano fra i contendenti. Pura signorilità fin de siècle.

Figlio di falegname e falegname a sua volta, Gelabert, già appassionato di lanterna magica e fotografia, nonché abile costruttore di macchine fotografiche, è folgorato sulla via di Damasco dalla presentazione a Barcellona del Kinetoscopio Edison, nel maggio 1895, e del Cinématographe Lumière, nel dicembre 1896. Dopo varie settimane di lavoro ininterrotto, anche grazie alla disponibilità di Josep Ubach, titolare del padiglione cinematografico di plaça d’Antonio López – attuale plaça Idrissa Diallo –, che gli permette di studiare attentamente il dispositivo dei Lumière, l’astuto bricoleur, appena ventitreenne, riesce a mettere a punto un doppione dell’apparecchio, capace – come l’originale – sia di filmare che di proiettare.

Nel 1897, oltre al già citato Riña en un café, forse ispirato al di poco anteriore Une altercation au café (1896) di Georges Méliès, Gelabert gira due vedute nel più tipico stile di casa Lumière: Salida de los obreros de la fábrica de La España Industrial e Salida del público de la Iglesia parroquial de Sants. Nel 1898 la Pathé Frères gli sollecita le riprese della visita del monarca, Alfonso XIII, a Barcellona, convertendolo così in uno dei primi cineasti spagnoli a conquistare il mercato internazionale. Nel 1899, sulla scia di Méliès, e prima dell’aragonese Segundo de Chomón, sperimenta un cinema fatto di artifici scenici, con esiti, a suo stesso avviso, non pienamente soddisfacenti (Choque de transatlánticos). Il primo grande successo è una comica di 250 metri: Los «guapos» de la Vaquería del Parque (1905).

Già direttore tecnico della Diorama, dal 1903, e della Films Barcelona, dal 1906, Gelabert, che nel frattempo ha declinato un goloso invito a trasferirsi negli Stati Uniti, fonda nel 1908 il primo teatro di posa della metropoli catalana, progettato sul modello degli studi di Charles Pathé a Montreuil. Sono gli anni dei melodrammi radicati nel tessuto culturale autoctono: Terra baixa (1907) e Maria Rosa (1908), da Àngel Guimerà, La Dolores (1908), da Josep Feliu i Codina, Amor que mata (1908), da un soggetto di Josep Vives, e Guzmán el bueno (1909), tratto dal dramma storico di Antonio Gil y Zárate e interpretato da Margarita Xirgu, futura musa di García Lorca.

Come inventore, direttore della fotografia e operatore il suo prestigio, in Spagna, è ormai riconosciuto all’unanimità (le carenze, non volendole tacere, vanno piuttosto ricercate altrove: in varie produzioni della Films Barcelona, per imposizione delle alte sfere, gli sono affiancate figure – Enric Giménez e Joan M. Codina – incaricate di curare la direzione degli attori). Fra il 1913 e il 1914 realizza con Otto Mulhauser due lussuose coproduzioni – oggi le definiremmo come tali – firmate Alhambra Films e Cox & Co. (New York): La lucha por la herencia e Ana Cadova. Sempre nel 1914, con l’apporto finanziario di Francesc Bech, costituisce la Boreal Films. L’età dell’oro è tuttavia al tramonto.

Il suo ultimo titolo risale al 1928, La puntaire: nelle imprecise memorie pubblicate dalla rivista «Primer Plano» (1940-41), Gelabert assicura che il film «fu un successo», ma «solo in Catalogna». Il sonoro inizia a profilare nuove strategie di produzione e rappresentazione, mettendo all’angolo i cineasti meno inclini a ripensare il proprio ruolo.

Torniamo al 1952. Gelabert ha settantotto anni e non frequenta il mondo del cinema da quasi un quarto di secolo. Un giovane critico e operatore culturale, il poco più che trentenne Joan Francesc de Lasa, appassionato cultore di cinema delle origini, è riuscito da qualche tempo a incrinare, in via del tutto esclusiva, la diffidenza cronica del vecchio pioniere. La frequentazione tra i due uomini, divisi dall’anagrafe ma uniti da una stessa impetuosa passione, si è fatta di giorno in giorno più assidua, cementandosi infine in una discreta amicizia.

La festa della Mercè, «fiesta mayor» della città di Barcellona, offre al giovane critico le armi per un’operazione puramente simbolica che possa riscattare in pubblico il prezioso operato di Gelabert. Aggirando le ottuse resistenze della burocrazia franchista, Lasa riesce a ottenere presso il locale Ayuntamiento i fondi, invero assai modesti, che permettono al pioniere deluso di rigirare con scrupolosità quasi filologica Riña en un café, primitivo esperimento di drammaturgia filmica.

Il risultato è proiettato a fine settembre, durante le feste della Mercè, al Cine Alexandra di Rambla de Catalunya, con un programma di film delle origini faticosamente riscattati, fra gli altri, dai polverosi archivi comunali (in questi archivi, va detto, molte pellicole si erano deteriorate nei loro contenitori metallici, vittime illustri di un funzionariato che non brillava certo per particolare capacità d’iniziativa). Gelabert, mimetizzatosi in platea, assiste all’evento con malcelata commozione. Ciò che sappiamo di quel primo film a soggetto del 1897, Riña en un café, irrimediabilmente perduto, lo dobbiamo alla mediazione di questo improvvisato – diremmo oggi – remake, realizzato grazie alla passionale ostinazione di Lasa a più di mezzo secolo di distanza dall’originale. Non sono pochi i critici che, ben oltre la pervasività dei loro scritti, hanno saputo operare interventi decisivi sul corpo della storia del cinema.

Nel settembre 1952, alle spalle di un potere politico da operetta (i rappresentanti delle istituzioni, nonostante i posti riservati in prima fila, disertano la proiezione), il cinema spagnolo può finalmente risalire le correnti del tempo e affermare la sua identità fondativa. Ripiombato dopo i fatti della Mercè in un relativo anonimato, Fructuós Gelabert abbandonerà le spoglie mortali a ventinove mesi di distanza, nel febbraio 1955.

La Filmoteca de Catalunya, lo scorso 16 gennaio, ha festeggiato i centocinquant’anni dalla nascita del pioniere con una selezione di titoli digitalizzati (fra i quali Riña en un café, versione 1952), proiettati al cospetto dei pronipoti e di un folto pubblico di curiosi. I precursori, quelli veri, la spuntano sempre, o quasi sempre, sulle piccinerie del proprio tempo.