È un Francis Ford Coppola gioioso e desideroso di condividere le proprie esperienze quello che si presenta alla stampa per parlare di Megalopolis. Tanto si era scritto nei giorni scorsi: il progetto di una vita, i 120 milioni spesi di tasca propria, le difficoltà produttive. Ma il regista statunitense cancella ogni rumor con la leggerezza di chi ha già visto tanto. «I soldi? Non sono importanti. Gli amici, quelli sì. E il non avere rimpianti», afferma, con la nipotina che rimane al suo fianco per tutto il tempo. «Quando venni qui per Apocalypse Now, avevo Sofia a cavalcioni sulle spalle». Il tempo: quello passato, quello che rimane, quello che l’arte può fermare. È uno dei temi centrali del film e lo è anche nella conferenza stampa. Ma questo sguardo ampio non significa che Coppola sia meno coinvolto dalle questioni che agitano il presente.

«QUANDO, quasi quarant’anni fa, ho detto di voler fare un’epica romana ambientata negli Stati uniti è perché quello della repubblica è il modello su cui la nazione è fondata. Persino le nostre città sono costruite come Roma. Ma mai avrei pensato che la politica attuale potesse rendere così rilevante questo film: è proprio a causa di ciò che vediamo oggi che la repubblica degli antichi crollò». Il riferimento è a Trump, certo, ma non solo. «C’è un trend nel mondo verso la destra, persino fascista, che fa paura. Chi era vivo durante la Seconda guerra mondiale sa che è un’esperienza che non dovremmo ripetere».

Francis Ford Coppola
C’è un trend verso la destra, persino fascista, che fa paura. Mai avrei pensato che la politica attuale potesse rendere così rilevante questo filmIl discorso vira poi sul cinema, e Coppola dà prova di una generosità che colpisce per un regista del suo calibro, e per un film meditato per tutti questi anni. «Megalopolis, davvero, dovremmo firmarlo insieme: io con tutto il cast e i collaboratori. Let’s face it: per fare un film così, non sai da dove cominciare. Loro mi hanno aiutato moltissimo. Ho iniziato come regista di teatro, non sapevo molte cose ma sapevo come lavorare con gli attori. Sono loro che rendono grande un autore. Adam Driver mi ha dato consigli persino su quali scene tenere o scartare. Non è un caso che tutti loro mi chiamino per nome: è così che si fa abitualmente a teatro, ed è così che facciamo i film».

Questo metodo di lavoro non può che entrare in conflitto con le logiche produttive dell’industria. «Temo che gli studios non lavorino per realizzare film ma per pagare i loro enormi debiti. Lo streaming? Un tempo lo chiamavamo home video, e nella forma attuale è stato inventato per il baseball. Di sicuro queste nuove compagnie hanno molti soldi, mentre non è detto che gli studios tradizionali ci saranno tra venti anni. Io ci sarò sicuramente, e starò rimontando uno dei miei film, visto che non li voleva nessun altro li possiedo io e ci posso fare quello che voglio. C’è ancora una scena che forse inserirò ne Il padrino» scherza il regista, che il mese scorso ha compiuto 85 anni.

NONOSTANTE il tempo sia finito, Coppola esorta i giornalisti a fare domande a cast e collaboratori. Ed è davvero una dimensione da famiglia allargata quella che ha concepito Megalopolis: c’è la sorella, Talia Shire, collaboratrice di una vita, c’è il figlio Roman Coppola, che lo ha aiutato alla regia, e ci sono gli attori che hanno abbracciato il progetto. Tra loro Giancarlo Esposito sottolinea come la speranza sia il tema centrale dell’impresa. Quell’attitudine che, pur nella decadenza dell’Occidente, può pretendere di reimmaginarne la storia. D’altronde, Coppola ha affermato che sta già scrivendo un altro film.