Francia, la posta in gioco è il futuro della democrazia
Scommessa fallita La crisi politica francese mostra i limiti di un sistema costituzionale in cui i poteri del presidente si sono ampliati senza tener conto della trasformazione nella composizione della rappresentanza parlamentare
Scommessa fallita La crisi politica francese mostra i limiti di un sistema costituzionale in cui i poteri del presidente si sono ampliati senza tener conto della trasformazione nella composizione della rappresentanza parlamentare
La crisi politica francese mostra i limiti di un sistema costituzionale in cui i poteri del presidente si sono ampliati senza tener conto della trasformazione nella composizione della rappresentanza parlamentare, che da tendenzialmente bipolare (secondo il classico schema destra-sinistra) si è frammentata dando vita a un multipolarismo fluido, nel quale alcuni partiti storici sono scomparsi, o hanno subito scissioni che ne hanno ridimensionato il peso, e altri sono nati, rendendo più difficile la formazione di maggioranze parlamentari coerenti e stabili.
In Francia questa mutazione del panorama politico è avvenuta all’ombra dell’ascesa dei consensi della destra estrema, che si è consolidata come forza in grado di condizionare le politiche del paese, anche se non è riuscita ancora a conquistare la guida dell’esecutivo o la Presidenza della Repubblica.
La scommessa “centrista” di Macron, che ha puntato sull’ulteriore scomposizione della sinistra in due aree, una moderata, di fatto subalterna al partito del presidente, e l’altra radicale, da marginalizzare attraverso il modello degli “opposti estremismi” è fallita. Di fronte alla prospettiva di un centro che persegue politiche economiche neoliberali, e di una destra nazionalista, la sinistra si è ricomposta dando vita a un’alleanza, il Nfp, che nelle ultime elezioni – volute da Macron senza consultarsi con nessuno – ha conquistato una posizione di maggioranza relativa. In queste circostanze, la logica della rappresentanza avrebbe condotto naturalmente all’incarico di un esponente della coalizione di maggioranza relativa, ma il Presidente ha messo in atto una strategia di dilazione puntando sulla spaccatura del Nfp. Dato che questa ipotesi non si è realizzata, Macron ha reso esplicito il suo rifiuto di dare l’incarico a un esponente della sinistra, avviando consultazioni il cui scopo è stato quello di favorire la costituzione di un’altra maggioranza relativa che sia omogenea rispetto alle politiche che nella legislatura precedente erano state portate avanti dal governo di minoranza guidato dal suo partito. Dopo alcune settimane, e lunghe consultazioni, arriva l’incarico a Michel Barnier, uomo della destra tradizionale, che non dispiace affatto a Le Pen.
La situazione di stallo politico viene superata, dunque, ma rischiando una vera e propria crisi costituzionale: due minoranze sono state in competizione per accaparrarsi il numero di parlamentari che sarebbe stato sufficiente a formare un governo, e la destra ha giocato il ruolo privilegiato di forza di interdizione che ha tutto da guadagnare da una situazione in cui è stata in grado di prevenire la formazione di un governo di sinistra e, allo stesso tempo, di condizionare gli orientamenti di un governo centrista nascente, che sarà costretto a cercare i propri consensi volta per volta nell’assemblea, o a ricorrere, come ha già fatto il precedente esecutivo, a strumenti legislativi che la costituzione autorizza, ma che sviliscono il ruolo della rappresentanza parlamentare.
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Macron capovolge le urne: per il governo un patto con Le PenL’aspetto più grave della situazione francese, che, come si è detto, è il risultato di scelte di cui Macron porta in pieno la responsabilità, è che il Presidente ha fatto chiaramente capire di non essere disposto a riconoscere la legittimità di indirizzi politici diversi da quelli che egli ha promosso nella precedente legislatura. La natura tendenzialmente paternalista del presidenzialismo alla francese, non a caso modellata sulla figura di un leader sui generis come Charles de Gaulle, si sta evolvendo dunque in una direzione esplicitamente autoritaria. Appare chiaro, infatti, che uno spostamento del conflitto sul piano extraparlamentare – attraverso mobilitazioni che già si annunciano nei prossimi giorni – andrebbe incontro a una reazione repressiva (come è già accaduto altre volte nel corso del mandato di Macron all’Eliseo).
C’è in questa torsione autoritaria la chiara impronta di uno dei caposaldi dell’ideologia neoliberale, che consiste nel mettere la politica economica, guidata da principi di favore per il capitale, al riparo dalle interferenze che possono derivare dalla formazione di maggioranze parlamentari che potrebbero perseguire indirizzi redistributivi di politica economica. Spezzare le reni alla sinistra, anche attraverso la forza, è giustificato, in questa prospettiva, dall’obiettivo di subordinare il lavoro all’impresa, l’eguaglianza all’efficienza. Tanto peggio, se questo vuol dire restringere la libertà di scelta o di manifestazione delle opinioni. La posta in gioco in Francia, quindi, non è soltanto la formazione di una maggioranza parlamentare, ma il modo di intendere la democrazia e il suo rapporto col capitalismo. Cioè il suo futuro.
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