Chiou Taur Wu, storia di fatica e liberazione di una tata taiwanese
Come al Jeu de Paume si celebra Tina Barney e Chantal Akerman e al Centre Pompidou si rende omaggio a Barbara Crane, anche la 27/a edizione di Paris Photo – la più importante fiera di fotografia al mondo appena conclusasi al Grand Palais (7-10 novembre), diretta da Florence Bourgeois con la direzione artistica di Anna Planas – ha puntato l’attenzione sulle donne nella scena e nel mercato dell’arte fotografica.
A SUPPORTARE il programma Elles x Paris Photo dedicato alle fotografe internazionali è lo stesso ministero della cultura francese, in collaborazione con Women in Motion di Kering. Sono cinquantuno le autrici appartenenti a diverse generazioni (il 35% ha meno di 40 anni) selezionate da Raphaëlle Stopin, tra cui le italiane Lisetta Carmi (Martini & Ronchetti), Letizia Battaglia, Marialba Russo e Giovanna Borgese (Alberto Damian), Marina Caneve (Montrasio Arte) con il progetto sul paesaggio delle riserve naturali vincitore dell’Italian Council 2023 ed Elisa Montessori rappresentata dalla galleria Monitor con vari pezzi della serie Tropismi (collage di foto degli anni Settanta con disegni a pastello, olio e inchiostri del 2024) e il bellissimo libro d’artista Scrittura d’erba.
Quanto alle autrici che sfidando i preconcetti sociali l’elenco è lungo, sia che si tratti della naturalezza di un nudo femminile nella terza età, tema affrontato da Paz Errázuriz, la rappresentazione della donna nella cultura islamica nel lavoro di Sabiha Çimen o l’attivismo delle donne spagnole messo a fuoco da Pilar Aymerich nel periodo storico della transizione politico-economica tra il 1975 e il 1982.
PARTENDO DALLA SURREALISTA Dora Maar (Henriette Théodora Markovitch), ritratta nel 1946 da Izis, con le sue solarizzazioni e i fotomontaggi: una selezione delle sue fotografie fa parte della mostra Surréalisme al Pompidou. Guarda dritto verso l’osservatore Maria Chambefort, nata Perraud, nota dagherrotipista ottocentesca che amava definirsi «fotografa artista», autoritraendosi seduta nel suo studio. Una rarità questo dagherrotipo nella sua cornice originale in vendita allo stand di Photo Discovery per 100mila euro. Anche nel linguaggio fotografico l’autoritratto è una forma di rappresentazione complessa che stimola diversi livelli di lettura.
IDENTITÀ E APPARTENENZA, affermazione ed emancipazione: il corpo è il luogo si scrittura e riscrittura del passato e del presente. Se l’artista multimediale giapponese Mari Katayama focalizza l’attenzione sull’immagine corporea della malformazione dei propri arti inferiori, ribaltando il concetto di bellezza e di disabilità come limite, Hélène Amouzou negli autoritratti realizzati nell’arco di un decennio affronta il tema della dislocazione e dell’esilio. «Sono arrivata dal Togo a Bruxelles con mia figlia che era piccola – afferma Amouzou –. Non potevo lavorare perché non avevo i documenti e quando lei era a scuola ho cominciato a fotografare. Non potevo fare altro. Fotografare era un modo silenzioso per confrontarmi con la situazione che vivevo. Stampavo da me, in bianco e nero, ritrovando in camera oscura un momento di serenità».
Nelle sue fotografie lo sfocato permette all’autrice di visualizzare l’incertezza della propria esistenza nell’impercettibile confine emotivo tra visibile e invisibile. Una condizione che affiora anche in I am showing you how big the sky is. The story of Chiou Taur Wu told by Martina Bacigalupo, l’ultimo libro pubblicato da Martina Bacigalupo, presentato a Paris Photo dalla casa editrice L’Artiere. Un omaggio che la fotografa, membro dell’Agenzia Vu’ fa alla sua ex tata taiwanese Chiou Taur Wu con cui è cresciuta dall’età di quattro anni.
UNA VITA DURISSIMA quella della donna che ricomincia a sorridere quando, settantenne, va in pensione e si trasferisce nel suo paese natale concedendosi finalmente del tempo tutto per sé, tra lezioni di ballo e viaggi in giro per il mondo. Il libro raccoglie le foto che negli anni la signora Chiou ha inviato a Martina, in cui si autoritrae nei contesti più disparati – dalla piantagione di zucche vicino Taipei allo studio fotografico in Corea dove indossa un costume tradizionale – ironizzando nell’interpretare giocosamente se stessa. Immagini che sono la codificazione di un sogno nella sua messinscena più genuina.
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