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Monoproduzione nucleare in Francia: il conto è servito

Macron nel pantano di politiche energetiche sbagliate

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 28 novembre 2018

La protesta dei gilet gialli ha avuto un suo primo effetto: quello di indurre Macron a diluire nel tempo la riduzione dei reattori nucleari francesi. Infatti mentre il piano varato da Hollande prevedeva di ridurre al 50% la produzione elettronucleare entro il 2025, Macron ha annunciato che questo avverrà solo nel 2035: e dieci anni sono una enormità se messi in relazione alla avanzata età dei reattori francesi!

Per quanto lo stesso Macron abbia detto che la messa fuori servizio di questi 14 reattori sarà scaglionata nel tempo, bisogna tener conto che Edf (la maggiore azienda produttrice e distributrice di energia in Francia) ha ripetutamente affermato che, a parte le due unità di Fessenheim che andranno in pensione entro il 2020, non intende mettere fuori servizio altri impianti prima del 2029. I reattori interessati dalla chiusura (oltre Fessenheim) sono quelli di Tricastin, Bugey, Gravelines, Dampierre, Blayais, Cruas, Chinon and Saint-Laurent, tutti entrati in servizio tra il 1979 e il 1983, vale a dire con un età media attuale di 37 anni ma che all’atto della loro messa fuori servizio ne avranno mediamente più di 50. È una decisione temeraria che pone a rischio la sicurezza di tutta la popolazione europea.

Macron ha anche detto che il programma di chiusura dipenderà dall’evoluzione del mix energetico della Francia, incluso il previsto aumento delle fonti di energia rinnovabile e l’espansione della capacità di interconnessione con i Paesi vicini, ma è evidente che la politica francese è in forte ritardo nell’avviare questo programma di transizione, proprio a causa della monoproduzione nucleare che si sta rivelando una vera palla al piede per tutta l’economia.

Edf si muove da tempo in cattive acque e l’aver inglobato tutte le attività di Areva non ha fatto che aggravare i suoi bilanci, al punto che oggi si dà per certo un aumento della partecipazione dello stato in Edf fino all’83% del capitale con l’ipotesi di inglobare il settore nucleare in una unica società separata dal resto di Edf. Dal che se ne può dedurre, legittimamente, che il recente aumento delle accise sui carburanti che tante proteste ha provocato possa servire a coprire i costi della “bolletta nucleare” a cominciare proprio dal finanziamento di Edf.

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