Francesco Brigati: «Decarbonizzazione lontana e rischi per la sicurezza»
Il “punto di non ritorno” per lo stato della siderurgia italiana è quasi raggiunto, nel silenzio del governo Meloni. Conclusa con successo la prima giornata di sciopero dei lavoratori di Acciaierie d’Italia, Ilva in As e dell’indotto, è Francesco Brigati, segretario generale Fiom Cgil di Taranto a provare a fare una sintesi: «È urgente dare delle risposte: c’è una scadenza a maggio 2024 che prevede che Invitalia potrà entrare nel capitale sociale di Acciaierie d’Italia con la maggioranza pubblica, ma se non ci sono interventi prima, se non si convocano le organizzazioni sindacali, se non c’è un piano industriale, si va alla deriva. Potremmo arrivare a un punto di non ritorno, Meloni deve fare la sua parte».
Il governo, dopo l’incontro interlocutorio di mercoledì scorso, ha parlato di «soluzione di prospettiva», a quali prospettiva si riferisce però?
Forse quella della bomba sociale. Sono necessari 5 miliardi di investimenti e sulla carta non c’è niente. A rischio però c’è il futuro di 20mila lavoratori, 8.200 solo nel sito di Taranto. Ci sono anche 1.600 lavoratori e lavoratrici in amministrazione straordinaria che dovrebbero rientrare se si raggiungesse l’obiettivo di produzione a 8 milioni di tonnellate annue di acciaio così come previsto dall’accordo del 6 settembre 2018. Ma siamo ancora a 3 milioni, anche in fase di massima richiesta del mercato. Cioè siamo al minimo storico della produzione, un altro record dell’amministratore delegato. In più alcune ditte di appalto stanno avviando procedure di licenziamento collettivo, in altre stanno terminando gli ammortizzatori sociali, diverse non pagano i fornitori. Taranto è la prima provincia della Puglia per ore di cassa integrazione, questo la dice tutta sullo fase industriale e occupazionale drammatica che sta vivendo la città. C’è un clima di allarme sociale.
Il finanziamento di inizio anno non è bastato? Il ministro per le Imprese, Adolfo Urso, ieri ha rivendicato i tre interventi dell’esecutivo per permettere ad ArcelorMittal di «rendere lo stabilimento di Taranto il più green d’Europa».
Il ministro non conosce lo stabilimento. Oggi siamo in una condizione peggiore, invece, perché quel miliardo previsto per la decarbonizzazione non c’è più: è stato cancellato dai progetti del Pnrr. La presidente del Consiglio ha deciso di trovare altre risorse ma questo comporta l’allungamento dei tempi e un piano industriale che al momento non c’è. Questo si aggiunge ad altri elementi peggiorativi: vogliamo ricordare, ad esempio, che dal luglio 2012, data in cui è stata sequestrata l’area a caldo del sito di Taranto, il processo produttivo a ciclo integrale non è cambiato. Nonostante la produzione sia drasticamente diminuita riscontriamo ancora problemi ambientali, nello specifico di emissioni diffuse e fuggitive non convogliate, come nel caso del benzene, che a causa delle mancate manutenzione procura una situazione di rischio cancerogeno per gli abitanti di Taranto e per gli stessi lavoratori. Lo stabilimento è gestito in malo modo, è evidente: non c’è stato il rifacimento dell’altoforno Afo 5, non si sono visti investimenti per l’efficienza degli impianti con gravi rischi di sicurezza per gli operai. La soluzione non può essere quella di dare ulteriori risorse pubbliche a chi ha già dimostrato di non esser riuscita a mettere in atto il piano ambientale e ha ridotto la produzione ai minimi storici.
Il presidente di Acciaierie d’Italia, Franco Bernabè, potrebbe fare passo indietro se il governo non dà segnali che vuole investire.
Noi Bernabè lo abbiamo visto più in televisione che negli incontri sindacali. Sono due anni che ci dicono le stesse cose ma è tutto fermo ed è un problema politico.
Può spiegare meglio?
I soldi ci sono eppure non vogliono fare un intervento pubblico, lo stato doveva salire nella maggioranza di azioni ora invece i ministri sono divisi su questo e la nazionalizzazione si allontana. Il governo Meloni fa il nazionalista con gli ultimi e con i migranti e fa il liberale con quelli che hanno distrutto la siderurgia italiana, con le multinazionali che prendono soldi pubblici per depredare gli stabilimenti. Se è un sito di interesse strategico il governo lo dimostri con i fatti.
Lo sciopero di ieri è l’inizio di una mobilitazione?
Presto le segretari nazionali di Fim, Fiom e Uilm convocheranno un coordinamento nazionale di tutte le Rsu di tutti gli stabilimenti, da Taranto a Novi Ligure, per programmare un calendario di iniziative di mobilitazione, non ci fermeremo finché non avremo certezze sul piano industriale, ambientale e occupazionale.
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