Crisi Volkswagen, in 20 mila fischiano i vertici: colpa loro
Assemblea dei lavoratori a Wolfsburg: feroce resistenza alla chiusura delle fabbriche
Assemblea dei lavoratori a Wolfsburg: feroce resistenza alla chiusura delle fabbriche
Era il marchio più venduto, sempre in utile, popolare anche nel nome, dove chiunque voleva lavorare ed era soddisfatto. Scandali e decadenza l’hanno trasformato in un’anatra zoppa. Al pari di tante altre industrie dell’auto.
Perfetto esempio dell’attuale tracollo tedesco, la Volkswagen è in piena crisi con la proprietà che minaccia – per la prima volta nella storia – addirittura di chiudere fabbriche in patria.
QUASI 20MILA LAVORATORI ieri hanno partecipato ieri all’assemblea convocata dal Comitato aziendale a Wolfsburg per protestare vigorosamente contro i piani di riduzione dei costi della casa automobilistica tedesca. Il management del gruppo Volkswagen – presente ai massimi livelli – ha difeso i piani che potrebbero portare a licenziamenti forzati e chiusura di stabilimenti di produzione in Germania. «Abbiamo ancora un anno, forse due, per cambiare rotta. Ma dobbiamo approfittare di questo tempo», ha affermato il direttore finanziario Arno Antlitz.
Senza convincere nessuno. Anzi, la battagliera Daniela Cavallo, capo del comitato aziendale di chiare origini italiane, ha annunciato che non accetterà chiusure di stabilimenti, licenziamenti o tagli salariali. Cavallo ha affermato che la crisi non è colpa dei dipendenti, ma del management: «La Volkswagen soffre perché il consiglio di amministrazione non fa il suo lavoro». «Opporremo una feroce resistenza a possibili chiusure di stabilimenti e licenziamenti per ridurre i costi. Mai in vita mia consentirò che queste misure vengano applicate da parte dell’azienda», ha dichiarato Cavallo.
Secondo la prorpLa domanda di automobili in Europa non si è ripresa dalla pandemia Covid, con le consegne in tutto il settore in calo di circa due milioni di pezzi rispetto ai picchi precedenti e con la Volkswagen che da sola ha perso vendite per circa «500mila auto, l’equivalente di circa due stabilimenti», aveva spiegato Antlitz.
ALL’ASSEMBLEA HA PARTECIPATO anche l’amministratore delegato Oliver Blume fischiato dai dipendenti assieme agli altri manager.
Financo il malconcio cancelliere tedesco Olaf Scholz sta affrontando in prima persona la crisi della Volkswagen. Un portavoce del governo ha detto che Scholz ha parlato con la direzione, la presidente del comitato aziendale del gruppo e i membri del consiglio di sorveglianza.
Il ministro federale del Lavoro Hubertus Heil ha affermato a Berlino che tutte le persone coinvolte devono lavorare insieme per garantire che tutte le sedi siano sicure e che i licenziamenti operativi presso VW siano evitati: «Bisogna assumersi la responsabilità, anche da parte dell’azienda».
Proprio ieri si è tenuta un’importante udienza del processo per il dieselgate, lo scandalo che nel 2015 ha segnato l’inizio della parabola calante di Volkswagen. L’ex Ceo Martin Winterkorn è accusato di frode e altre accuse legate al piano della Volkswagen di utilizzare software per ingannare i regolatori ambientali negli Stati Uniti sulle emissioni dei motori diesel dell’azienda. «L’accusa del pubblico ministero di non aver agito come mi veniva richiesto in qualità di amministratore delegato, di aver ingannato e danneggiato clienti e azionisti, mi colpisce molto duramente alla fine della mia carriera professionale», ha dichiarato al tribunale distrettuale di Braunschweig.
MARTEDÌ I PUBBLICI MINISTERI hanno affermato in tribunale che Winterkorn era a conoscenza dei dettagli del software illegale al più tardi maggio 2014, prima di quanto riconosciuto dall’esecutivo. È accusato di frode commerciale, manipolazione del mercato e falsa dichiarazione. Nella sua dichiarazione di apertura, Winterkorn ha respinto tutte le accuse. Il “Dieselgate” è stato scoperto nel settembre 2015 attraverso le indagini delle autorità ambientali e degli scienziati statunitensi: la casa automobilistica aveva manipolato i livelli di emissioni con un software speciale. Questi cosiddetti «dispositivi di distruzione» facevano sì che le auto rispettassero i limiti di ossido di azoto durante le condizioni di prova, ma non su strada. Secondo i pubblici ministeri, Winterkorn ha deciso di continuare la vendita di almeno 65 mila veicoli manipolati negli Stati Uniti. Lo scandalo è costato alla Volkswagen più di 32 miliardi di euro in multe e risarcimenti.
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