“Niente accade per caso. Quando una bambina di 3 anni viene uccisa in una casa a Gaza, è perché qualcuno nell’esercito ha deciso che non era un grosso problema ucciderla […].Non siamo Hamas. Questi non sono razzi casuali, tutto è intenzionale. Sappiamo esattamente quanti danni collaterali ci sono in ogni casa”.

Tale agghiacciante testimonianza compare nell’inchiesta di una pubblicazione progressista israeliana costruita con colloqui con sette ex ed attuali membri della intelligence israeliana. Quello che è più rilevante non è tanto il fatto che le vittime civili siano perfettamente prevedibili da parte di IDF, ma il come può fare delle stime precise. E la risposta è: con l’intelligenza artificiale.

È noto come Israele abbia raggiunto una posizione ragguardevole nell’ambito della ricerca tecnologica. La zona chiamata Silicon Wadi, sede delle maggiori aziende del settore, è considerato secondo solo alla sua controparte in California; è stato valutato che il paese ospiti il maggior numero di star-up tecnologiche al mondo dopo gli Usa, e di società quotate al NASDAQ (borsa di aziende di profilo tecnologico) dopo Stati Uniti e Cina. Questo è stato il risultato di un progetto governativo degli anni Novanta detto “Business incubator” (incubatore di imprese) destinato ad indirizzare le competenze di circa 750mila ingegneri, scienziati e medici allora arrivati dall’ex URSS.

Il terzo elemento (oltre le aziende tecnologiche massicciamente favorite e il governo, impersonato dalla Israel Innovation Autority – una divisione del ministero dell’Economia) è il venture capitalism, il capitale di rischio specializzato nell’investire in settori emergenti e molto promettenti. Israele è diventata una Mecca di questo tipo di soggetti finanziari: si stimano attivi nel paese 276 fondi di questo genere (un’altra fonte specializzata riporta invece il numero di 601, aggiungendo che nel loro portafogli deterrebbero partecipazioni di 977mila aziende).

Fra questi tre elementi (governativo-militare, aziende tecnologiche e fondi finanziari) vi sono legami a molti livelli. Per esempio diverse imprese tecnologiche hanno parte del loro personale che ad ottobre scorso è stato richiamato al servizio militare, ovviamente nelle funzioni continue alla loro expertise. Lior Simon, a capo di una delle più importanti imprese del settore, ha dichiarato che molti dirigenti e dipendenti di essa fanno parte delle unità di intelligence d’élite di Israele e delle unità di combattimento e sono stati chiamati per il dovere di riserva dopo il 7 ottobre.

Più in generale, la ricerca dedicata alla AI e alle sue applicazioni è il frutto di una partnership fra questi settori, per cui si verifica un travaso fra le acquisizioni tecniche verso l’impiego bellico.

Ma ci sono anche legami stretti, pure di carattere personale. Toka, una start-up di difesa informatica, è stata lanciata nel 2018 sotto gli auspici dell’ex primo ministro israeliano Ehud Barak (1999-2001), che ha ricoperto anche l’incarico di ministro della Difesa nel 2008-2013 (durante l’operazione Piombo Fuso). Fra i dirigenti di Toka vi era anche Yaron Rosen, generale di brigata in pensione. E chi ha finanziato l’operazione? Andreessen Horowitz, società di venture capital californiana, e Dell Technologies Capital (anch’essa californiana).

Questo succedeva nel 2018. Negli ultimi cinque anni gli investimenti in alta tecnologia con consistenti applicazioni belliche sono diventate febbrili. Secondo la fonte specialista PitchBook nel 2023 il capitale di rischio avrebbe riversato sul settore ben 3,3 miliardi di dollari (stima fatta l’inizio di ottobre scorso, quindi assai largamente per difetto).

La guerra per lo Stato ebraico appare sempre più come un conflitto basato sulla tecnologia. Nel 2021 una operazione contro i palestinesi è stata battezzata come “la prima guerra della AI”. “Per la prima volta, l’intelligenza artificiale è stata una componente chiave e un moltiplicatore di potenza nel combattere il nemico”, ha detto un alto ufficiale dei servizi segreti dell’IDF, riportato dal Jerusalem Post.