Finlandia e Svezia nella Nato? Perché è un attacco all’Europa
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Finlandia e Svezia nella Nato? Perché è un attacco all’Europa

Le prime ministre svedese e finlandese – Ap

L’addio alla neutralità è un regalo agli Usa e alla politica di guerra di Putin che gli assicura consensi interni. E contro l’art.10 atlantico: le adesioni non pregiudichino la sicurezza

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 16 aprile 2022

L’adesione di Finlandia e Svezia alla Nato non ne rafforzerebbe la sicurezza; sarebbe una sconfitta per l’Unione europea e per la stessa Ucraina, rendendo più difficile una soluzione pacifica della guerra.

Per le stesse ragioni, Washington e Mosca, invece, l’accoglierebbero con «favore» (per non parlare della stessa Nato).
La neutralità, sempre vigile ed armata, ha tutelato l’indipendenza di quei due paesi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale; ha consentito loro di schierarsi liberamente – e, mi si consenta di aggiungere, virtuosamente – contro la guerra nel Vietnam, l’apartheid in Sud Africa e la sua crescita nei territori occupati da Israele. Senza concedere alcunché al Patto di Varsavia che pure non si peritava d’inviare qualche sottomarino nelle loro acque. Personalità quali Urho Kekkonen, Juho Paasikivi, Tage Erlander e Olof Palme, sia per il loro ruolo internazionale, sia per una politica sociale e democratica esemplare, hanno dimostrato come uno statuto di neutralità non conceda nulla alle tendenze autoritarie, dominanti ad Est e frequentemente esportate nel resto del mondo da Ovest. Entrambi i paesi hanno aderito all’Unione Europea, ove soprattutto la Finlandia esercita un ruolo fattivo ed equilibrato, dimostrando con la loro presenza di paesi neutrali, insieme con altri (Austria, Irlanda, Malta, Cipro), che il disegno europeo trascende gli schieramenti della Guerra Fredda e il suo anacronistico prolungamento. La cosiddetta finlandizzazione, tesa a dimostrare una limitazione della sovranità inerente allo status neutrale, è parte dell’armamentario propagandistico di un’epoca predente che i governi succedutisi a Helsinki hanno sempre respinto.

Perché, allora, il tema è diventato attuale al punto di spingere le presidenti del consiglio dei due paesi – Magdalena Andersson e Sanna Marin – ad annunciare, pubblicamente affiancate, una decisione imminente? Da un punto di vista formale, si potrebbe tradurre in una volontà di adesione tale da aprire la strada ad un invito da parte della Nato (del resto più che preannunciato dal suo segretario generale, Stoltenberg), in forza o a dispetto dell’articolo 10 che prevede la sua apertura ad adesioni che non ne pregiudichino la sicurezza.

La risposta è semplice. Si tratterebbe di un ulteriore regalo alla Nato, alla presidenza Biden a corto di consensi di politica interna, ad altri governi europei, ma non europeisti, da parte di Vladimir Putin. La sua aggressione militare, che ha cosparso l’Ucraina di vittime, distruzione fisica ed emigrazione di massa, per quanto indotta da precedenti politiche occidentali, ha mutato l’orientamento prevalente dell’opinione pubblica in Finlandia e, pur in bilico, anche in Svezia.

Se vi fossero ancora dubbi sulle preferenze in proposito del Cremlino, basti tenere presente la recente concentrazione di truppe russe ai confini della Finlandia.
Esiste un metodo in quella che viene spacciata soltanto per follia dalla propaganda anche nostrana (cfr., ad esempio, il “Corriere della Sera” che il 14 c.m. esce con il titolo di prima a sei colonne: “Finlandia e Svezia verso la Nato”). La politica di guerra assicura a Putin consensi interni, legittimazione dei propri metodi dittatoriali, in nome del rilancio di una politica imperiale frustrata ed umiliata dalla precedente caduta del Muro. Quelli che appaiono come costi, in primo luogo il rilancio e la rilegittimazione della Nato in realtà costituiscono dei benefici, in quanto ne riaffermano il ruolo di secondo protagonista di un confronto bipolare con Washington, a sua volta volta bisognosa di un nemico credibile, per efferratezza dimostrata sul campo oltre che per congrua dotazione di armi nucleari. Come giustificare altrimenti i costi in ascesa del complesso militare-industriale, a suo tempo vanamente denunciato dal presidente e generale Eisenhower e ulteriormente alimentato dalle esportazioni di armi in Ucraina? Insomma, un ulteriore passo nella direzione di una spartizione di territori europei, alimentata dalla continuazione della guerra in corso.

Ne deriva un interesse europeo, oltre che dell’Ucraina – che non perde occasione per bussare alla porta dell’Unione Europea e per escludere una sua adesione alla Nato – ad evitare un’ulteriore allargamento dell’Alleanza. Governi e parlamenti di Helsinki e di Stoccolma hanno il sovrano diritto di scegliere liberamente. Ci mancherebbe altro! A noi resta quello di auspicare che continuino a contribuire ad un’Europa pacifica, più unita, più libera e giusta, strategicamente indipendente.

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