Non svanirà mai la memoria di cos’era la Finlandia nel dopoguerra, dopo due epici scontri con le armate sovietiche e la perdita di parte della Carelia perché “troppo” vicina a Leningrado. Grazie a un danese amico di famiglia che presiedeva la missione della Croce Rossa Internazionale nella guerra lassù, ebbi modo di viaggiare da sud a nord lungo il nuovo confine, invalicabile, dove famiglie ormai divise si salutavano commosse attraverso le recinsioni. La Finlandia che ricordo era povera e periferica; averla «neutralizzata» ha contribuito a renderla prospera come pochi altri in Europa e centrale nella distensione Est-Ovest. Helsinki è diventata una seconda Ginevra, deputata ad ospitare conferenze al vertice. Se anche l’Ucraina, alle prime avvisaglie di ciò che era prevedibile accadesse, fosse stata «neutralizzata», sarebbe diventata un florido ponte con la Russia – come proponeva Kissinger – invece che un cimitero.

Scoppiato il conflitto in Ucraina, uno smarrimento collettivo ha investito finlandesi e svedesi. L’anno scorso Magdalena Andersson, premier di Svezia, proclamava che la neutralità garantisce la stabilità della regione nordica; adesso sostiene esattamente il contrario. Anche il presidente finlandese Sauli Niinisto ora assicura che l’adesione alla Nato «permette di stabilizzare ulteriormente la situazione». Come? Non si capisce. Niinisto era sempre stato in cordiali rapporti con Putin, tanto che il 14 maggio ha voluto informarlo al telefono che Helsinki intendeva entrare nella Nato. «È un errore che potrà influenzare negativamente le relazioni bilaterali» gli ha risposto Putin, e intanto ha tagliato le forniture elettriche alla Finlandia.

Se c’è una nazione europea universalmente rispettata, questa è la Svezia. Infatti, nessuno al mondo ha applaudito l’affrettata decisione di infrangere l’ideale nordico, a parte i membri della Nato. Ma la Turchia, ad esempio, condiziona la propria ratifica a una richiesta ricattatoria: che Svezia e Finlandia consegnino i rifugiati curdi accusati da Ankara di «terrorismo». In sintesi, per i due Paesi scandinavi l’abbandono della neutralità significa rinunciare a una parte essenziale della loro identità, nel cui nome sono caduti Raoul Wallenberg, Folke Bernadotte, Dag Hammarskjold e Olof Palme. Cosa ci guadagneranno in cambio? Vediamo.

1. La nuova «cortina di ferro» si allungherà in Finlandia di 1.340 km verso nord, tra laghi, foreste e pochi abitanti: un’area che finirà fortificata su entrambi i lati con mine, missili ed eventualmente ordigni nucleari. Una potenziale area di crisi in più.
2. L’intero Baltico diventerà un bacino della Nato. Per la Russia gli unici sbocchi al mare sono la piccola exclave di Kaliningrad e la Neva a San Pietroburgo. Da lì le navi russe in uscita devono navigare nella strettoia controllata da Estonia e Finlandia, poi evitare la ben munita isola svedese di Gotland in mezzo al Baltico, e infine attraversare gli stretti del Kattegat sotto gli occhi di svedesi e danesi.
3. Militarmente, non si ravvisa alcun rafforzamento per i due Paesi candidati, viste le robuste difese già in loro dotazione e integrate con la Nato. È appena terminata nel Baltico l’annuale esercitazione navale Baltops, forte di 45 navi, 75 aerei e 7000 militari provenienti da 14 alleati Nato. Chissà che pensano gli abitanti di Kaliningrad assistendo a spettacoli del genere… L’unica cosa che può rassicurarli sono i temibili missili Iskander piazzati da Mosca a difesa della exclave.

L’ulteriore rafforzamento della Nato – che già spende per la difesa 17 volte la Russia – non contribuirà certo a calmare i bollenti spiriti degli aggressori dell’Ucraina né ad esperire nuove vie di disgelo con Mosca. Al contrario, frutterà a Putin maggior consenso popolare, come sempre accade quando ci si sente assediati, perché è questo il sentimento dominante in Russia nonostante tutto. Bisogna esser sordi per non udire i venti di guerra soffiare dal mar Nero al mar Baltico. Da dove si sprigionerà la prossima scintilla? Potrebbe essere provocata da un incidente in Lettonia con le minoranze russofone, che contano un terzo della popolazione. O in Lituania, sul corridoio di congiunzione fra Kaliningrad e la Bielorussia. O nella stessa Kaliningrad, dove per ironia della storia nacque e visse Immanuel Kant, il grande filosofo che ci lasciò in eredità il manuale “Per la Pace Perpetua”.

Al Consiglio Nato di Madrid Svezia e Finlandia – sostenuti da Washington e dall’iperattivo e ciarliero Segretario della Nato Stoltenberg – scalpitano per ottenere una procedura d’urgenza. C’è un motivo: temono che il loro elettorato cambi idea sull’abbandono della neutralità, un po’ come è successo a molti britannici dopo la Brexit. Nel Patto Atlantico esiste però anche l’articolo 10: «Sono ammissibili quali nuovi membri i Paesi in grado di contribuire alla sicurezza della regione». I membri della Nato dovrebbero invocare l’art.10 per non ratificare le due nuove adesioni. Basta domandarsi, infatti: potranno i due Paesi candidati «contribuire alla sicurezza della regione» quali membri della Nato meglio che da neutrali? Chiaramente no, come si è spiegato prima: si innescheranno nuove micce nel Baltico. Temiamo, tuttavia, che prevarrà una scelta irrazionale e fatale, perché, come insegnava proprio Kant, «da un legno storto come è fatta l’umanità non si può costruire nulla di perfettamente dritto».