Non è bastato il vento a favore di tutto (o quasi) il Nordafrica. E neppure il tifo senza pause di oltre 50 mila spettatori, con 10 mila tagliandi – rimasti invenduti – regalati dalla federazione marocchina ai tifosi in Qatar. In finale contro Messi va la Francia (2-0), che sotto gli occhi di Emmanuel Macron spegne sul più bello il sogno del Marocco. All’inizio sembrava esserci poca storia, la furia dei Leoni dell’Atlante si è imbattuta dopo cinque minuti nella rete del milanista Theo Hernandez, la prima marcatura subita dai nordafricani nel torneo. In precedenza avevano preso gol solo su autorete.

Ha poi giocato il Marocco, accettando il confronto senza troppi timori con i francesi. Ha rischiato di prendere subito il raddoppio, è poi andata vicino al pari. Nel secondo tempo Amrabat e compagni hanno messo sotto assedio la porta francese. Un impeto – sostenuto da una tifoseria incandescente – che ha certificato, per l’ennesima volta, che l’arrivo in semifinale non è stato un exploit pilotato dalla sorte. Diverse occasioni per rimettere la partita, fino al secondo gol dei Bleus.

Che si presentano in finale dopo aver vinto il torneo quattro anni fa in Russia. C’è l’occasione di vincere la Coppa in due edizioni consecutive, agganciandosi all’Italia (1934-38) e al Brasile di Pelè, che vinse nel 1958 e nel 1962. A un passo dal trionfo, insomma, per una nazionale di enorme qualità e che ha dovuto fare a meno di Benzema, Kante e Pogba. Ora sarà Mbappè contro Messi, il più che probabile vincitore del prossimo Pallone d’Oro e designato erede al trono del numero dieci dell’Argentina, all’ultimo ballo con la maglia del suo paese.

Dopo il fischio finale, l’attenzione è stata riservata ai marocchini annunciati sui Campi Elisi, arrivati in circa diecimila per festeggiare per il successo sui francesi. Una mobilitazione temuta da giorni per una partita con evidenti implicazioni storiche: oltre duemila poliziotti allertati, il presidente dell’ottavo arrondissement di Parigi aveva chiesto la chiusura dei Campi Elisi per la partita, temendo diventasse un campo di battaglia.

OVVIAMENTE la sconfitta con i transalpini neppure scalfisce la meravigliosa impresa marocchina che ha presentato un caleidoscopio di personaggi: dall’anarchico di talento Ziyech, che non ha mai incassato il gettone di presenza dalla federcalcio – donando sempre i soldi alle famiglie più povere in Marocco – all’ex interista (ora al Psg e grande amico di Mbappè) Hakimi, che sono stati capaci di mettersi alle spalle la Spagna, prima, poi il Portogallo, portando per la prima volta una nazionale araba così avanti in un torneo di questo livello. Resteranno anche alcune storie che spesso sa raccontare solo il malandato pallone che porta la Coppa del Mondo in un paese che calpesta i diritti di migranti, donne e omosessuali come il Qatar.

Quella dell’attaccante Cheddira, che gioca al Bari in Serie B e prima ancora in C. Oppure quella di Azzedine Ounahi, dell’Angers (Ligue 1) che fino a meno di due anni fa giocava nella terza serie francese. Uno sconosciuto anche per l’ormai ex commissario tecnico della Spagna, Luis Enrique, che ha confessato di non conoscerlo. Ounahi ha debuttato nel Marocco solo a gennaio. Ma c’è anche la storia di Sabiri (Sampdoria), che ha piazzato sui suoi profili social una foto con la bandiera della Palestina.
In generale, c’è l’incastro di elementi tra calciatori nati e cresciuti in Marocco e quella di nazionalità marocchina ma cresciuti all’estero (sono 14 nella rosa dei Mondiali), come Hakimi e Ziyech in Spagna, che avrebbero potuto anche scegliere di giocare con un’altra nazionale. La regia è stata dell’allenatore,

WALID REGRAGUI, arrivato in panchina poco più di cento giorni fa – dopo aver seguito per settimane gli allenamenti di Arteta all’Arsenal – con l’obiettivo di rattoppare una squadra spaccata e in crisi.
Il Marocco si era qualificato ai Mondiali solo nel 1998 e nel 2018. Nel 2004 ha provato a candidarsi per l’organizzazione dei Mondiali, che poi sono finiti in Sudafrica. Il cambio di passo c’è stato 14 anni fa: la federcalcio marocchina ha investito nell’apertura di un’accademia calcistica e al tempo stesso allargò la sua rete di osservatori europei. L’accademia è stata voluta da Mohammed VI, re del Marocco dal 1999, deluso dall’assegnazione dei Mondiali ai sudafricani. Quell’accademia è stata la base di una nazionale che sarà ricordata a lungo.