Paghe scandalose, mancata applicazione dei contratti collettivi, corruzione, caporalato e sfruttamento. Sono queste le condizioni sconvolgenti, ma in realtà già denunciate dai sindacati, in cui hanno lavorato, in maniera irregolare, quasi duemila persone in gran parte bengalesi e dell’Europa dell’Est nell’indotto della cantieristica navale di Fincantieri a Venezia, e provincia, oltre che in altre regioni come il Friuli Venezia Giulia, la Liguria, le Marche, la Sicilia e la Puglia. Tra questi duemila, 385 hanno dovuto cedere al ricatto del contratto fasullo perché avevano la necessità di rinnovare i permessi di soggiorno in Italia. I lavoratori sono stati obbligati ad accettare condizioni capestro con una paga oraria inferiore ai 7 euro.

Al centro delle indagini della Guardia di Finanza di Venezia c’è un complesso sistema degli appalti e dei subappalti basato su un meccanismo definito «paga globale». I lavoratori erano retribuiti indipendentemente da quanto stabilito dal contratto collettivo nazionale di settore. La paga oraria era forfettaria e stabilita solo in base alle ore lavorate. Si creava una busta paga fittizia che conteneva voci infondate come l’anticipo dello stipendio, i buoni pasto, il bonus «80 euro» e un’«indennità di trasferta». Sono avvenute anche elargizioni «fuori busta». I contributi previdenziali e le tutele assistenziali non sono stati versati. A 1.951 lavoratori, e allo Stato sociale, sarebbero stati sottratti 6 milioni di euro non sottoposti a imposizione né contribuzione.

Le società che hanno costruito il sistema sono una dozzina e sono le stesse perseguite nell’indagine penale per caporalato. Erano gestite da connazionali (albanesi, bengalesi, balcanici) degli operai sfruttati. Risultano indagati anche 13 ex dipendenti della Fincantieri di Marghera per corruzione tra privati e caporalato. Fincantieri si è costituita come parte lesa nel processo e ha denunciato l’infedeltà dei suoi ex dipendenti. L’azienda ha fatto sapere di essere venuta a conoscenza dell’indagine nel 2019, ha garantito la collaborazione con la magistratura e le forze dell’ordine e ha ribadito il proprio impegno «a favore della legalità». Un «Protocollo Quadro Nazionale» è stato sottoscritto con il ministero dell’Interno nel 2017.

La storia di questo sfruttamento di massa è stata raccontata dalla Fiom di Venezia e del Veneto ammessi come parte civile, insieme alla Cgil di Venezia, nel procedimento in corso. Il primo esposto alla procura, al sindaco di Venezia e al presidente della regione è del 2018. Allora sono state denunciate le condizioni di lavoro negli appalti e dei sub-appalti di Fincantieri. «Ci aspettavamo una presa di posizione e l’apertura di un confronto da parte di Zaia e di Brugnaro ma nulla è successo e tutto è caduto nel vuoto – hanno detto Antonio Silvestri (Fiom Veneto), Michele Valentini (Fiom Venezia e Daniele Giordano (Cgil Venezia) – Oggi ci pare che la regione Veneto, con grave ritardo, si stia accorgendo di quello che accade da anni». Zaia ieri ha infatti rilasciato una dichiarazione. «Fincantieri – hanno proseguito i sindacalisti – è una società di diritto privato ma a controllo pubblico, la cui maggioranza delle azioni sono detenute da Cassa Depositi e Prestiti, dovrebbe impegnarsi a verificare che vengano rispettate le condizioni dei lavoratori delle ditte in appalto e in subappalto ma capiamo anche che se non si modifica il modello produttivo a pagarne le conseguenze saranno sempre i lavoratori».

Il problema del «sistema produttivo» è rilevante. Ieri il governo Meloni, dopo il consiglio dei ministri, ha varato un nuovo codice degli appalti. «Farà tornare indietro di mezzo secolo il lavoro in Italia, con meno tutele per la sicurezza dei i lavoratori, con subappalti selvaggi. È il vero volto di una destra» ha detto Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana-Verdi). «Questa vicenda rilancia due grandi questioni: salario minimo e legge sulla rappresentanza» ha sostenuto Andrea Martella del Pd Veneto. «Il verminaio è sotto gli occhi di tutti, È ora di dar vita a una grande stagione di lotte per il salario e i diritti» hanno detto Antonello Patta e Paolo Benvegnù (Rifondazione Comunista),