Finalmente scopriamo che la Cina è vicina
La crisi globale Non occorre scomodare Marco Bellocchio e il suo film del 1967 per accorgersi che la Cina è vicina: le catene di supermercati come l'americana Walmart, la svedese Ikea, la francese Leroy Merlin da 45 anni contano sulla Cina per offrire ai propri consumatori prodotti a basso costo
La crisi globale Non occorre scomodare Marco Bellocchio e il suo film del 1967 per accorgersi che la Cina è vicina: le catene di supermercati come l'americana Walmart, la svedese Ikea, la francese Leroy Merlin da 45 anni contano sulla Cina per offrire ai propri consumatori prodotti a basso costo
Scoppia la bolla immobiliare in Cina? Sbadiglio. Vado a comprare qualcosa nei negozi Muji e non la trovo? Pazienza. I consumatori di Miami, Baltimora e New York potrebbero però innervosirsi se le navi portacontainer cinesi non possono più passare dal canale di Panama perché manca l’acqua (sì, è un canale interoceanico ma manca l’acqua, ne parlavamo nei giorni scorsi su queste colonne). Tutto ciò per una ragione molto semplice: la Cina rimane la fabbrica del mondo con 3.714 miliardi di dollari di esportazioni nel 2022. Un giro d’affari che equivale a quello di Germania, Gran Bretagna e Italia messe insieme.
Non occorre scomodare Marco Bellocchio e il suo film del 1967 per accorgersi che la Cina è vicina: le catene di supermercati come l’americana Walmart, la svedese Ikea, la francese Leroy Merlin da 45 anni contano sulla Cina per offrire ai propri consumatori prodotti a basso costo. La giapponese Muji ha bisogno della Cina per i suoi eleganti accessori per la casa o le sue camicie fintamente stropicciate.
Volete esempi? Basta andare al negozio Flying Tiger più vicino e confrontare i prezzi con quelli di qualsiasi altro magazzino. Vi serve un solido tagliere di bambù? Otto euro. Una tela professionale per la pittura? 12 euro. Sono eccezioni: il 99% dei prodotti costa meno di 10 euro perché questa era la filosofia del fondatore Lennart Lajboschitz, che aprì il primo negozio a Copenhagen nel 1995.
Potete avere un paio di occhiali da lettura per 2 euro (proprio gli occhiali, non la custodia, che costa 1 euro). Potete fare felice la nipotina comprandole un quaderno rivestito di peluche rosa con due occhietti neri: 4 euro. Potete riempire il carrello di tazze, piatti, bicchieri, ciotole, caraffe: tutto a meno di 10 euro. Ikea, al confronto, sembra una gioielleria.
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Il vero pericolo per la Cina è un popolo disillusoQuesti prezzi, badate bene, sono quelli di un negozio nella centralissima via Zamboni a Bologna, che quindi deve pagare il pizzo alla rendita urbana, oltre che alla logistica per far arrivare le merci dal terminal di Vado in Liguria a Bologna e i noli da Sciangai o Shenzhen fino all’Europa. Il che significa che qualunque cosa sia qui in negozio a 2 euro deve probabilmente costare dieci centesimi alla porta della fabbrica in Cina.
Negli ultimi anni molte produzioni di cianfrusaglie a basso costo si sono spostate in Thailandia, in Indonesia o in Vietnam ma dal punto di vista delle esportazioni questi paesi rimangono dei nani in confronto alla Cina, che mantiene saldamente il controllo sulle produzioni più sofisticate, a cominciare dagli iPhone Apple prodotti negli stabilimenti della Foxconn a Shenzhen, dove lavorano 330.000 operai. Tutto questo era possibile grazie ai 65 milioni di container che girano per il mondo, quelle scatole d’acciaio standardizzate lunghe un po’ meno di 6 metri e larghe 2,35 che possono contenere decine e decine di schermi piatti per televisori o centinaia e centinaia di gadget elettronici. Su una sola nave ce ne stanno parecchie migliaia ma a volte le navi si incagliano, come la Ever Given che ne portava 18.000 nel canale di Suez nel 2021.
Negli ultimi trent’anni, con l’arrivo di centinaia di milioni persone nelle città in cerca di un lavoro in fabbrica che offrisse loro una vita migliore, i palazzinari non riuscivano a costruire appartamenti moderni abbastanza velocemente e il settore immobiliare era diventato il secondo motore dell’economia. L’edilizia dava lavoro a milioni di persone, offriva uno sbocco per i risparmi delle famiglie e rappresentava più di un quarto di tutta l’attività economica.
La crisi immobiliare in Cina crea turbolenze ancora difficili da interpretare ma di certo interessa anche noi perché negli ultimi 50 anni il tenore di vita dei lavoratori a reddito medio-basso in Europa e negli Stati Uniti è stato mantenuto grazie ai prodotti cinesi. Per esempio, il salario minimo federale negli Stati Uniti, istituito nel 1933, ha raggiunto il suo valore massimo nel 1968, a quota 13,46 (in dollari del 2022). Oggi è fermo a 7,25 dollari, ovvero vale poco più della metà. Mai nella storia americana, neppure durante o dopo le guerre, chi fa lavori manuali aveva subito una perdita di status e di potere d’acquisto di queste dimensioni. In Europa i salari operai sono stati difesi un po’ meglio ma comunque la disuguaglianza è cresciuta ovunque.
Di conseguenza i barbecue delle famigliole americane o gli asciugacapelli delle donne italiane e spagnole arrivavano dalla Cina. Una Cina che cresceva a ritmi infernali grazie agli investimenti stranieri, all’urbanizzazione, ai bassi salari. Ritmi che avevano un prezzo: i suicidi degli operai, come raccontano Pun Ngai, Jenny Chan e Mark Selden nel loro fondamentale libro “Morire per un iPhone”.
Bolla immobiliare, crescita dimezzata, disoccupazione giovanile, cambiamento climatico e relative conseguenze: la Cina di Xi è entrata nel capitalismo maturo e deve fare i conti con problemi che forse non aveva previsto. Quelli che Stati Uniti ed Europa hanno sperimentato fin dal 2008.
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