Finalmente la gioia di Bais, mentre il gruppo bivacca sull’altipiano
Da Capua a Campo Imperatore, una linea dritta lunga quasi duecentoventi chilometri sega in due lo stivale per questa attesa settima tappa del Giro, il primo arrivo in salita a più di duemila metri d’altitudine. L’eroe inatteso di giornata è Davide Bais, che tante volte abbiamo visto dannarsi l’anima in fughe disperate in questi anni. Pronti via ed è già all’attacco, assieme a Petilli, Vacek e il campione d’Africa Mulubrhan, quest’ultimo però costretto ad arrendersi da una crisi salendo vero Roccaraso, prima asperità di giornata.
Rimangono così in tre a solcare l’altopiano d’Abruzzo spianato dal vento, a scalare senza strappi i quaranta chilometri finali tutti per l’insù, e a giocarsi la tappa in una volata ristretta. Per paradosso, siccome nessuno dei tre fuggitivi ha la forza di staccare gli altri, in vista del traguardo di una frazione in teoria riservata agli stambecchi è il più veloce a presentarsi come favorito: Bais appunto, che si toglie di ruota un Petilli fino a lì (parole sue) fin troppo generoso, per poi trionfare a braccia alzate.
Da Capua era partita anche la fuga degli schiavi di Spartaco, ma questa volta non c’è nessun Pompeo, tra i generali del gruppo, a sbaragliare la ribellione e a crocifiggere i forzati lungo l’Appia antica. Di questi generali, dei cosiddetti big, non varrebbe nemmeno la pena di curarsi, talmente senza parole lascia il loro bivaccare lungo l’altipiano (che transumare darebbe almeno l’idea di un pur lento movimento).
Qualcuno aveva i suoi buoni motivi, a partire dall’affittuario della maglia rosa, Leknessund, ben consapevole che accendere le micce avrebbe firmato la sua condanna; e proseguendo con Evenepoel, che ha dalla sua la crono di domenica a Cesena per infliggere altro distacco ai concorrenti. L’atteggiamento degli altri, però, rimane un mistero. Tappa lunghissima, decine di chilometri in salita, la quota che può far mancare l’ossigeno ai rivali da un momento all’altro. Ma niente.
Già comincia la tiritera del Giro ancora lungo, delle tante salite che ancora attendono i corridori, della decisiva terza settimana. Tutti argomenti simili a quello dell’atleta che sosteneva di aver saltato il Colosso di Rodi con un solo balzo. Allora, se il tappone appenninico non dà responsi sulle forze in campo tra i pretendenti alla vittoria, almeno ci dice più di qualcosa sul dibattito che ha animato i giorni scorsi, circa la responsabilità del percorso nello scoraggiare lo spettacolo. La strada è il contorno, qui il problema al momento è la materia prima.
W Marx, il Giro è del popolo. Una scritta scolpita su un muro di neve in vista della vetta di Campo Imperatore. Francamente, con tutti guai che ci stanno attorno, il popolo del ciclismo si meriterebbe qualcosa di un po’ meglio.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento