Visioni

Filmare la rivolta, i documentari militanti degli Ogawa Pro

Filmare la rivolta, i documentari militanti degli Ogawa Pro

Cinema La retrospettiva dedicata da Cinéma du Reél ai film degli anni sessanta del collettivo giapponese, un’esperienza tra impegno politico e rivoluzione estetica

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 20 marzo 2018

In occasione dei cinquant’anni dal 1968, il Cinéma du réel (a Parigi dal 23 marzo all’1 aprile) presenterà una retrospettiva dei documentari realizzati durante gli anni sessanta dal giapponese Shinsuke Ogawa e il suo collettivo Ogawa Pro. L’esperienza cinematografica del gruppo, dalla fine degli anni sessanta fino alla morte del suo leader nel 1992, è una delle più interessanti e profonde che abbiano solcato la settima arte e in particolare la sua declinazione documentaria.

Reduci dall’esperienza con la Iwanami Production nei primi sessanta, Ogawa e soci misero in pratica un concetto indipendente di cinema documentario che si sviluppò di pari passo con i movimenti di resistenza e di rivolta che scossero l’arcipelago durante tutto il decennio.
Durante il festival parigino saranno così presentati cinque documentari realizzati dal collettivo dal 1966 al 1968: A Sea of Youth e The Oppressed Students seguono le proteste e le aspirazioni degli studenti in un momento topico per la storia dell’arcipelago. Con Report from Haneda e specialmente con il primo dei capolavori, Summer in Narita, il gruppo di Ogawa sposta invece la sua attenzione verso la rivolta, che con gli anni diviene quasi una sorta di guerra civile, e verso la resistenza dei contadini della zona di Sanrizuka contro l’esproprio delle terre da parte dello stato giapponese per costruire l’aeroporto di Narita.

A questa lotta la Ogawa Pro dedicherà anima e corpo, non solo prendendo decisamente le parti dei contadini e degli studenti, ma vivendo quasi in simbiosi con loro per più di sette anni: uno degli esempi più splendenti di cinema militante che si siano mai verificati, soprattutto perché a questo impegno politico e civile si accompagnò una vera e propria rivoluzione estetica.
L’ultimo lavoro presentato al festival sarà Prehistory of the Partisan, diretto da Noriaki Tsuchimoto nel periodo in cui collaborò con il collettivo. Il suo lavoro sarebbe poi diventato sinonimo dell’altra grande serie di documentari giapponesi: quella dedicata a Minamata e al disastro dell’avvelenamento da mercurio perpetrato dalla Chisso corporation per decenni.

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Mentre i cinque film presentati durante il festival esprimono e catturano quindi l’azione e le lotte, è dopo gli anni sessanta che i lavori della Ogawa Pro diventano quella fine ed importantissima riflessione sul significato del cinema in rapporto alla realtà di cui si scriveva sopra. Alla fine di Cinéma du réel la retrospettiva curata da Ricardo Matos Cabo si sposterà infatti a Jeu de Paume, dove saranno proiettati gli altri quattro film dedicati a Sanrizuka, il luogo dove sorge l’aeroporto di Narita, e la serie di documentari, quattro, realizzati dal gruppo a Yamagata dalla fine degli anni settanta fino alla morte di Ogawa.

Il capolavoro della Ogawa Pro, il documentario che influenzerà generazioni future e darà inizio a un diverso modo di intendere l’arte nell’arcipelago è senza dubbio Narita: Heta Village del 1973.
Qui Ogawa e il suo collettivo decidono di fare un passo indietro rispetto all’azione e di rivolgere il loro sguardo verso il tessuto sociale del villaggio: le abitudini e le conseguenze di questa resistenza oramai portata avanti da quasi un decennio. In questo modo il documentario non è fatto solamente dal punto di vista dell’«oggetto» che intende filmare, ma ne esprime esteticamente la concezione del tempo e dello spazio.

Il film nelle sue due ore e mezza è composto da pochi piani sequenza che descrivono la vita del villaggio nel momento in cui la trama sociale si sente sempre più attaccata e minacciata dalla polizia, che tenta di portare scompiglio all’interno del paesino arrestando alcuni giovani, ma anche dalle defezioni di alcune famiglie che rinunciando alla lotta vendono il loro terreno. Il momento storico è cruciale, le spinte rivoluzionarie e di resistenza cominciate nel decennio precedente stanno tramontando e lasciando spazio a un senso di impotenza e a uno slittamento di posizioni. Si tratta del «tempo del dopo» di cui parla Jacques Rancière a proposito di Bela Tarr: «Un tempo in cui siamo meno interessati al successo o ai fallimenti delle storie e più al delicato tessuto del tempo dove sono scolpite».

L’approfondimento di questi tempi multipli quasi etnografici e antropologici continuerà quando, lasciata la zona di Sanrizuka, il collettivo si sposterà a Magino, piccolo villaggio sull’orlo dell’estinzione nella prefettura di Yamagata, un processo che culminerà con Magino Village: a Tale, del 1986.
L’avventura della Ogawa pro è oggi significativa per varie ragioni, non solo per i capolavori già citati, ma anche per gli incredibili fallimenti che ne hanno costellato lo sviluppo. Pur denominatosi come collettivo, il gruppo portava il nome del suo fondatore, che durante gli anni e specialmente a Magino divenne quasi tirannico. Nell’ultima fase inoltre Ogawa stesso, per girare i documentari che aveva in testa, creò un debito enorme che ancora oggi ostacola la circolazione e un eventuale restauro delle opere.

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Riflesso della condizione della società giapponese del tempo, nel collettivo alle donne era concesso solo cucinare e fare lavori «da donna», e non presero quindi mai parte alla creazione filmica. Con tutti questi lati oscuri, il collettivo e i suoi lavori rimangono a tutt’oggi un’esperienza unica nel panorama cinematografico mondiale: la cartografia di uno slittamento di senso e di un momento di passaggio cruciale non solo nella storia dell’arcipelago, ma di tutto l’Occidente.

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