Dopo una settimana di combattimenti, l’esercito filippino ha preso il controllo di gran parte di Marawi. Ai jihadisti affiliati all’Isis, appartenenti ai gruppi Maute e Abu Sayyaf, restano solo piccole aree della città (di 200.000 abitanti): 9 su 96 «barangay» (rioni) di Marawi. La metà dei residenti dovrebbe aver abbandonato la città, ma alcune migliaia restano intrappolate nelle zone contese.

Un centinaio le vittime: 61 jihadisti e 19 civili, 8 dei quali ritrovati in un dirupo con un cartello «traditori della fede» legato al loro cadavere: probabilmente musulmani moderati. Non si sa se siano ancora in vita le decine di cattolici (fra loro un sacerdote) presi in ostaggio dai miliziani il primo giorno di assedio. L’esercito ha cercato di sradicare con ogni mezzo (anche con bombardamenti aerei) il pericolo Isis a Marawi, per evitarne l’estensione nell’arcipelago. Ha incontrato, però, un’agguerrita resistenza armata.

L’Isis cerca di penetrare nel sud-est asiatico. Negli ultimi anni, nell’area di Mindanao, dove vivono 5 milioni di musulmani, sono arrivati diversi gruppi jihadisti. Contro di loro, già mesi fa, il presidente Rodrigo Duterte aveva lanciato un’offensiva e ora ha proclamato subito la legge marziale per due mesi in tutto il sud del paese. Il presidente-sceriffo ha arringato i soldati, invitandoli a compiere anche eventuali stupri.

Migrante Europe (l’organizzazione che rappresenta gli emigrati filippini in Europa) ha protestato contro la legge marziale e le detenzioni arbitrarie, fra cui quella del vescovo della Chiesa Filippina Indipendente Carlos Morales, della moglie Maria Teofifina Morales, dell’autista Sadome Dalide e del negoziatore per la pace con la guerriglia maoista, Rommel Salinas, del Fronte Nazionale Democratico delle Filippine.