Festival del teatro a Belgrado, rinnovamento e partecipazione popolare
Kermesse In Serbia il Beogradski Internacionalni Teatarski festivalil, con un nuovo direttore che racconta il suo lavoro
Kermesse In Serbia il Beogradski Internacionalni Teatarski festivalil, con un nuovo direttore che racconta il suo lavoro
Si avvertono sempre umori contrastanti ogni qual volta cambia il direttore di un festival, di un teatro o di un museo. Se Ivan Medenica aveva portato al Bitef (Beogradski Internacionalni Teatarski festivalil) mainstream del teatro d’innovazione internazionale, da Ostermeier a Rimini Protokoll, da Les ballets C de la B a Wim Vandekeybus, da Milo Rau a Oliver Frljic, il nuovo direttore Nikita Milivojevic ha allestito un programma che delle precedenti edizioni mantiene le sezioni collaterali del Polifonije e del circo e i progetti dedicati alle realtà indipendenti e ancora poco visibili nello scenario internazionale o che lavorano in ambito educativo e sociale.
Con coraggio e rischio ha scommesso su una nuova leva di artisti ancora estranei a logiche di appartenenza, alcuni con poca, altri con abbastanza riconoscibilità internazionale, ma che lavorano al rinnovamento della scrittura scenica e della regia in sintonia con le tensioni, i sentimenti, le paure e i sogni della nostra società.
Forza, non accettare di essere di qualcuno è stato il motto di quest’anno preso da una poesia di Rad Rmila Petrovic, un invito a uscire e a cantare fuori dal coro del conformismo. Il desiderio di uscire fuori dai recinti, dai generi codificati e dai confini estetici, sociali e di linguaggio, è sembrato essere il tratto comune a molte opere. A cominciare da Jeanne, scritto da Ivana Sajko, drammaturga croata che intreccia nei suoi testi racconto, poesia e musica, e diretto da Anja Susa, regista e per un decennio curatrice del Bitef a fianco di Jovan Cirilov. Combinando storie, immagini e linguaggi e mettendo al centro il tema del cambiamento climatico e dell’eroismo, a Giovanna d’Arco e Greta Thunberg il compito di guidarci verso un nuovo mondo. Meritatissimo il premio Mira Trailovic ricevuto anche grazie a un cast di eccezionali giovani attori e attrici.
Ed è sempre la paura di imminenti catastrofi ambientali a rompere le atmosfere frivole e serene delle giornate trascorse in spiaggia sotto il sole surriscaldato nell’opera/operetta contemporanea Sun and Sea ideata dalle lituane Rugile Barzdziukaite, Vaiva Grainyte e Lina Lapelyte, già vincitrici del Leone d’Oro alla 58° Biennale di Venezia e premiate dal Bitef per il consenso favorevolissimo del pubblico.
Dentro l’Art Pavillon di Kalemegdan è stata creata la spiaggia con vista dello spettatore dall’alto, il cui sguardo può muoversi liberamente come una macchina da presa con primi piani e campi lunghi che esplorano la condizione umana tra sogni e minacce. Se Giovanna d’Arco è il simbolo del patriottismo e del nazionalismo francese e Greta Thunberg l’icona radicale dell’ambientalismo internazionale, eroi a loro modo eccelsi nella retorica e nella propaganda sono anche il comunista Mátyás Rákosi e il sovranista Viktor Orbán: nello spettacolo Singin Youth i testi e le canzoni portate in scena dalla compagnia ungherese indipendente Trafó House of Contemporary Arts di Budapest mostrano l’assurda e avvincente sfida allo specchio delle parole ad effetto giocata in occasione della costruzione del vecchio Stadio del Popolo e del nuovo Arena Puskas.
E tuttavia è nella periferia industriale più estrema di Belgrado che va in scena lo spettacolo di circo contemporaneo che richiama il pubblico più popolare e più festoso. Anche qui gli artisti vengono dall’Ungheria e Restlesslegs, sostenuto da Trafó House, prende ispirazione dalla sindrome della malattia che dà irrequietezza alle gambe ma che diventa con il gioco spericolato e poetico delle pertiche tra salite e discese vorticose emblema della condizione difficile degli artisti in Ungheria che hanno le mani legate ma continuano a creare. Nonostante tutto. Esattamente come il Bitef che sceglie di comunicare non solo con gli artisti ma vuole parlare a una comunità’ più ampia di cittadini che si occupa e preoccupa del destino del nostro pianeta.
Il nuovo direttore: intervista
Nikita Milivojevic è stato ufficialmente nominato direttore del festival Bitef di Belgrado lo scorso febbraio, affiancato da due co-direttori, la drammaturga Tijana Grumic e la produttrice Ksenija Durovic. Come regista, ha iniziato a lavorare nel Jugoslovensko Dramsko Pozoriste diretto negli anni Ottanta da Jovan Cirilov, che gli aveva prima affidato la regia della pièce Jacques o la sottomissione di Eugène Ionesco e poi lo voleva come suo sostituto al Bitef Theatre, prima di trasmigrare al Bitef Festival, che Cirilov aveva fondato nel 1967 insieme a Mira Trailovic. Le sue produzioni più recenti di testi di Shakespeare, Pinter e Cechov sono state realizzate con il Teatro Nazionale Serbo di Novi Sad e in Grecia, dove lo scorso luglio per Eleusi 2023 Capitale Europea della Cultura ha diretto I Persiani – un viaggio nella schiera delle anime di Eschilo messo in scena sull’isola di Salamina, che il pubblico ha raggiunto in barca. Insegna regia e recitazione all’Accademia delle Arti di Novi Sad. Di recente ha pubblicato la sua biografia, I’m coming down.
Quale sarà il suo contributo personale al BITEF negli anni a venire?
Per noi è fondamentale mantenere la dimensione internazionale del festival, vorremmo continuare a portare le nuove tendenze teatrali più interessanti, quello che è il mondo del teatro oggi. E oggi il mondo del teatro è eclettico, esprime molte cose e molte cose diverse, dal dramma al post-dramma, dal teatro-danza al circo, alle performance e alle installazioni. Ma il mio obiettivo è sempre quello di scoprire cose che, ancora una volta, il Bitef porterà per primo a Belgrado. Naturalmente, non possiamo aspettarci di portare qualcuno di nuovo ogni anno, ma cerchiamo qualcosa che non si vede in altri festival. Tutti sanno come trovare Romeo Castellucci. Sì, è facile. Ma direi che questo non è il nostro obiettivo ora. Naturalmente, se ci sarà un’incredibile, fantastica performance di Castellucci, sarà molto gradita.
Il vostro obiettivo è quindi quello di scoprire artisti emergenti a livello internazionale?
Sì, cerchiamo, ancora una volta, di essere provocatori, tenendo conto della forma, dell’estetica, del linguaggio per promuovere un nuovo artista.
Non crede che ci possa essere un conflitto tra l’apertura internazionale del teatro e la politica nazionalistica del suo Paese?
Ho trovato interessante il collegamento tra il socialismo di Rákosi e il nazionalismo di Orban nello spettacolo Singing Youth del giovane gruppo ungherese, un’idea molto coraggiosa e interessante, che ci mostra come la storia si ripeta sempre in modo strano e quanto ci sia di ironico nella storia.
Vuole dire che non si può equiparare il socialismo di Tito al nazionalismo di Milosevic?
Il nostro socialismo era molto diverso da quello ungherese, l’Ungheria era sotto il controllo totale dell’URSS. La loro realtà e la nostra erano molto diverse. Con Tito avevamo la libertà di andare, di viaggiare e di far venire gente. Eravamo molto, molto più liberi. La Jugoslavia era quasi idolatrata in Ungheria e per tutto l’Est. Non c’è paragone. I giovani serbi non sanno nulla o molto poco degli anni Cinquanta in Ungheria e nemmeno di Tito. Ma per la mia generazione, sappiamo che il culto di Tito era davvero così grande e forte. Quando vedo gli attori di Singing Youth cantare canzoni comuniste, mi vengono in mente le canzoni della mia generazione che venivano cantate per Tito.
Stiamo attraversando di nuovo un periodo di guerre. Pensa che i temi sociali debbano essere affrontati a teatro?
Nella tragedia greca classica questo tema era molto importante. Il teatro è sempre stato uno specchio della realtà. Ed è così che è iniziato nell’antica Grecia. La cosa più bella era che si poteva commentare, parlare e criticare la propria società. In qualche modo la società si aspettava che il teatro criticasse, che dicesse le cose più provocatorie. Aristotele fu cacciato da Atene perché criticava il sistema. Questa è la democrazia, questo è il teatro.
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