Internazionale

Femminicidi e disparità, keniote contro il governo

Nairobi, in piazza contro il femminicidio lo scorso gennaio foto ApNairobi, in piazza contro il femminicidio lo scorso gennaio – Ap/Brian Inganga

Otto marzo Cortei, hotline e formazione, la mobilitazione è continua. Il 75% delle donne ucciso da partner o familiari, il 30% abusato almeno una volta nella vita

Pubblicato 8 mesi faEdizione del 8 marzo 2024

Il 14 febbraio, mentre altrove si scartavano cioccolatini a forma di cuore, migliaia di donne keniote vestite a lutto sfilavano per strade di Nairobi. Il Dark Valentine, San Valentino nero, era dedicato alle più di 30 donne uccise dall’inizio del 2024 nel paese. La mobilitazione, seguita in altre sei città, è stata organizzata dal movimento #EndFemicideKe, che ha riunito oltre mille associazioni per denunciare lo scarso intervento delle istituzioni rispetto all’ondata di femminicidi.

«È una crisi nazionale: non stiamo facendo abbastanza come nazione per proteggere le donne», ha dichiarato Audrey Mugeni, cofondatrice di Femicide Count Kenya, ong fondata nel 2018 che documenta il numero di donne uccise ogni anno. Nel 2023 ha rilevato 152 femminicidi, solo tra quelli denunciati e raccontati dai media, il numero più alto degli ultimi cinque anni.

Secondo le stime di Africa Uncensored, tra il 2017 e il 2024 sono state uccise circa 500 donne keniote. «Queste morti non possono essere giustificate. Chiudere una relazione o bruciare la cena non sono motivi per porre fine a una vita», si legge sul sito di Femicide Count Kenya.

IN OCCASIONE del Generation Equality Forum del 2021, l’ex presidente Uhuru Kenyatta aveva preso l’impegno di porre fine alla violenza di genere, istituendo tribunali specializzati e reparti di polizia dedicati. Non è stato abbastanza.

Secondo l’Africa Data Hub, in Kenya negli ultimi otto anni il 75% delle vittime di sesso femminile è ucciso da partner intimi o membri della famiglia e un terzo delle keniote ha subito un’esperienza di abuso fisico nella vita. La helpline antiviolenza Usikimye riceve oltre 150 chiamate al giorno e le aree rurali del Kenya occidentale vedono ancora l’utilizzo rituale della mutilazione genitale femminile, vietata dal 2011.

Nonostante il paese sia tra i firmatari della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, le attiviste affermano che esiste un ampio divario tra obblighi legali ed effettive pratiche statali. «Il governo è complice, ha detto di proteggere la vita delle donne, ma le promesse rimangono vuote e i femminicidi continuano – si legge in una dichiarazione su X di Femicide Count Kenya – È urgente che le norme vengano applicate».

A GENNAIO due casi in particolare hanno scosso l’opinione pubblica: Starlet Wahu e Rita Waeni, entrambe ventenni, brutalmente uccise da uomini. La prima, famosa sui social, è stata accoltellata da un conoscente; il corpo della seconda, una giovane studentessa, è stato ritrovato smembrato in più parti. Omicidi raccapriccianti, accompagnati da una retorica altrettanto agghiacciante sulla posizione sociale di queste donne e sulle loro eccessive libertà.

«È normale che una donna keniota venga ‘disciplinata’ dal marito – ha affermato Shyleen Bonareri Momanyi, direttrice del Young Women’s Leadership Institute di Nairobi – Idee patriarcali come queste, insieme alle disuguaglianze strutturali tra uomini e donne nella società keniota, creano un terreno fertile per la violenza».

Nel paese è anche molto presente il fenomeno degli influencer machisti come Andrew Kibe, che raccolgono lo scontento dei giovani maschi identificando nell’emancipazione femminile la causa della loro insoddisfazione. «Essere femminista in Kenya può essere pericoloso – dice la scrittrice Nanjala Nyabola – L’idea che le femministe siano da emarginare è ancora troppo comune».

EPPURE il movimento per i diritti delle donne è cresciuto in tutto il paese negli ultimi dieci anni, insieme ad associazioni come il Centro per i diritti, l’educazione e la consapevolezza (Creaw) o Ujamaa-Africa, che si occupa di insegnare autodifesa alle bambine. Con slogan come #WeJustWantToLive, sono scese in piazza per chiedere che il femminicidio sia riconosciuto come aggravante, i tempi giudiziari siano abbreviati e siano raccolti dati approfonditi sul fenomeno.

Per combattere la violenza a livello strutturale, pretendono inoltre l’educazione affettiva nelle scuole, una formazione adeguata per i funzionari statali e una maggiore rappresentanza delle donne al governo.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento