Gran brutta giornata per Fca. Ieri mattina la Corte di giustizia dell’Unione europea ha confermato la decisione della Commissione europea – e in particolare dalla commissaria danese Margrethe Vestager – sugli aiuti di stato del Lussemburgo nel caso di Fiat-Chrysler Finance Europe, rigettando il ricorso dell’azienda. La decisione dell’Antitrust europeo risale al 2015, un anno dopo le rivelazioni di LuxLeaks e a 16 mesi dall’apertura delle prime inchieste nel giugno 2014 sui «tax ruling». All’epoca la Commissione aveva stabilito che la società aveva usufruito di «un vantaggio fiscale indebito». La Corte, che ha sede proprio a Lussemburgo, ha condannato Fca a pagare circa 30 milioni di euro in «tasse arretrate». Soldi che paradossalmente il Lussemburgo non vuole perché punta a continuare ad essere un paradiso fiscale per le multinazionali.

Da parte sua Fca si dice «delusa per la decisione» «e sta valutando i prossimi passi da fare in questa questione», sebbene sostenga che gli impatti della decisione vengono considerati «non rilevanti» per i suoi conti.
In serata invece dagli Stati Uniti nel filone Dieselgate è arrivata la notizia dell’arresto a Detroit di un manager Fca. Emanuele Palma, dirigente nel settore diesel ed emissioni, era indagato da inizio mese nell’inchiesta del Dipartimento di giustizia. Palma è accusato di aver cospirato per ingannare regolatori, clienti e pubblico sui sistemi di emissioni utilizzati sui veicoli diesel di Fca negli Usa. L’accusa è aver violato il Clean Air Act e rilasciato dichiarazioni false sui sistemi usati da Fca.

«Stiamo aspettando i dettagli. Continueremo a collaborare con le autorità. Non abbiamo niente da aggiungere», commenta Fca. Ad aprile scorso Fca ha patteggiato per 110 milioni di dollari agli azionisti che l’accusata di informazioni fuorvianti sul mancato rispetto delle norme sulle auto diesel.