L’inflazione provocata dai profitti, e non dai salari, la stanno pagando essenzialmente i lavoratori e i pensionati. Invece di intervenire strutturalmente aumentando i salari, rinnovando i contratti, con una riforma fiscale progressiva il governo Meloni pensa a provvedimenti-vetrina. Ad esempio i bonus su bollette e benzina che dovrebbe essere varato dal Consiglio dei ministri lunedì prossimo con un altro decreto sull’immigrazione.

La redazione consiglia:
Con un caffè al giorno il governo non scaccia lo spettro della povertà

La benzina: la croce di Meloni e Salvini. Avevano, disinvoltamente, promesso di liberare dalle accise che risalgono in alcuni casi alle guerre coloniali del fascismo. Ora il prezzo fa da settimane lo yo-yo sopra e sotto i 2 euro al litro. Il governo starebbe pensando a un nuovo bonus da 80 euro (cifra simbolica fu usata da Renzi per tutt’altro provvedimento). Dovrebbe andare ai redditi bassi. Costerebbe poco più di 100 milioni distribuiti attraverso la carta «Dedicata a te»: la «social card» per beni e cibo da 382,50 euro per 1,3 milioni di famiglie con Isee fino a 15mila euro. Un euro al giorno fino a natale. Uno schiaffo alla dignità, dopo avere tagliato il «reddito di cittadinanza» (580 euro medi al mese).

La modestia delle cifre, e della volontà politica, la si ritrova nell’accordo con le associazioni della grande distribuzione, il commercio e l’industria del largo consumo per un patto su un trimestre, dal 1 ottobre al 31 dicembre , con cui calmierare i prezzi di un paniere di prodotti di prima necessità. Sarà firmato a palazzo Chigi giovedì 28, il giorno in cui il Cdm varerà la Nadef, il primo passo verso la legge di bilancio.

Anche in questo caso l’impressione diffusa tra gli attori in campo è quella di inadeguatezza temporale (il caro vita non finisce a natale) e di concezione (l’inflazione si mangerà gli sconti). Senza contare che l’industria non ha preso alcun impegno concreto a tale proposito. E si rischia il fallimento. «Ciascuno si sta facendo la propria scala mobile – commenta il segretario confederale Cgil, Christian Ferrari – Se non affrontiamo la questione salariale si risolve tutto in un pannicello caldo». Di questo si parlerà oggi, a palazzo Chigi, con il ministro delle Imprese, Adolfo Urso riceverà Cgil, Cisl e Uil e illustrerà queste e altre misure. Potrebbe essere uno di quei «tavoli finti» come ha detto il segretario Cgil Maurizio Landini che prepara la manifestazione del 7 ottobre a Roma.

La redazione consiglia:
In cammino sulla «strada maestra» di un autunno caldo: si comincia il 7 ottobre

Capitolo contratti. Per il ministro della pubblica amministrazione Paolo Zangrillo i soldi per rinnovarli, in fondo, non ci sono. E si cercano quelli per chiudere il round 2019-2021. Oggi 2,4 milioni dipendenti sono senza rinnovo e perdono potere d’acquisto. «La situazione internazionale non ci permette di sognare troppo. La settimana prossima penso di chiudere questa tornata con i contratti dei dirigenti medici. Se nella legge di bilancio non si troveranno, con ogni probabilità, i «13 miliardi di euro» stimati dai sindacati, «nel caso peggiore penseremo ad un’una tantum» ha detto Zangrillo che ha incontrato il ministro dell’economia Giorgetti «prima delle ferie» e qualche giorno fa «in aeroporto».

Giorgetti gli ha detto: «Paolo non ti preoccupare, ho capito che c’è questa necessità, la condivido». Lo stile di questo e di altri governi: accentramento, delega, emergenza. Ci pensa Giorgetti tra un volo e l’altro. Per quest’ultimo mancano «14-15 miliardi» per l’aumento dei tassi di interesse deciso dalla Bce. L’austerità è tornata, il ciclo monetario è cambiato. La politica economica resta la stessa