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Facebookgate: anche Bolton, il nuovo boss della sicurezza Usa, tra i clienti di Cambridge Analytica

Facebookgate: anche Bolton, il nuovo boss della sicurezza Usa, tra i clienti di Cambridge AnalyticaJohn Bolton

Il caso Nuove rivelazioni sul caso che fa tremare Facebook. Tutto inizia nel 2014. Come funziona il sistema dei nuovi persuasori occulti digitali che hanno lavorato per portare Trump alla Casa Bianca e hanno supportato i fautori della Brexit

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 24 marzo 2018

John Bolton, il nuovo consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump, ha collaborato con Cambridge Analytica – l’azienda al centro del Facebookgate – per adattare video di YouTube ai profili «psicografici» differenti degli elettori americani. Il progetto era finalizzato all’individuazione dello spot capace di catturare l’attenzione di diverse platee di potenziali votanti classificati in base alla personalità desunta dall’analisi dei dati prodotti dall’uso delle piattaforme digitali.

Bolton appare in uno spot del 2014 dove sostiene alle elezioni di «mid-term» alcuni candidati repubblicani nel New Hampshire, nella Carolina del Nord e nell’Arkansas. Siamo in un periodo precedente alla campagna elettorale che ha potato alla casa bianca Trump, prima della razzìa dei dati da 50 milioni di profili americani di Facebook. Cambridge Analytica era un cliente di quello che oggi è diventato il responsabile politico del coordinamento tra i servizi segreti, militari e di polizia degli Stati Uniti. Il rapporto era con un comitato politico conosciuto con il nome di «John Bolton Super Pac». Questa organizzazione investì 1,2 milioni di dollari in sondaggi elettorali realizzati attraverso le tecniche comportamentali elaborate da Cambridge Analytica. Il contratto, ha rivelato il New York Times, prevedeva l’adozione «micro-obiettivi comportamentali raggiunti attraverso un sistema di messaggistica psicografica».

Per realizzarli l’azienda guidata fino a due giorni fa dal dimissionato Alexander Nix, ha usato i dati estratti da Facebook, la stessa tecnica usata l’anno successivo per razziare 50 milioni di profili americani in vista delle presidenziali nel 2016. La tesi, sostenuta anche dalle testimonianze di Christopher Wylie e altri ex dipendenti di Cambridge Analytica che hanno preferito mantenere l’anonimato, è particolarmente importante perché attesta un uso sistematico dei dati Facebook. Tale uso è diventato colossale grazie all’acquisizione dei risultati della ricerca di Alexander Kogan (università di Cambridge in Inghilterra) sui comportamenti di 270 mila persone pagate 2 o 3 dollari per eseguire un quiz su Facebook. Miliardi di dati sono stati estratti dalle azioni di queste persone – e dei loro «amici». Una sospetta violazione delle regole di Facebook che si è detta ingenuamente «tradita» da persone che avevano assicurato un uso accademico dei dati. La piattaforma è stata usata come cavallo di troia da parte di chi afferma «valori» opposti al vangelo buono per tutte le stagioni, quello della «società aperta» dei suoi proprietari liberal. Una crisi di fiducia che può costare moltissimo al social network dopo il «Russiagate».

Dall’altra parte dell’Atlantico, in Inghilterra, si continua a indagare sul rapporto tra Cambridge Analytica, il comitato «pro-Leave» e il partito ultra-nazionalista Ukip in vista del referendum che ha sancito la Brexit nel 2016 . Nella testimonianza resa davanti al comitato parlamentare inglese che indaga sulla campagna referendaria Nix avrebbe mentito su questi rapporti. Le sue dichiarazioni – tornerà a breve a rispondere davanti alla commissione – contrastano infatti con quelle rese ieri al Guardian da Brittany Kaiser, direttrice dello sviluppo commerciale di Cambridge Analytica fino a due settimane fa. Il lavoro con il comitato Leave.EU ha comportato l’analisi dei dati forniti da un computer dello Ukip. Lo studio dei dati è stato intrapreso dallo stesso scienziato dei dati che ha lavorato sulla campagna presidenziale di Donald Trump. C’è ancora una certa confusione sul pagamento del lavoro – non ci sarebbe stato – ma sembra che il lavoro sia stato parzialmente fatto.

Queste informazioni rivelano una specializzazione politica accertata. Il Guardian ha pubblicato una brochure di 27 pagine elaborata dalla Cambridge Analytica per promuovere i servizi di consulenza politica. Nel documento c’è la rivendicazione di avere aiutato Donald Trump a vincere le presidenziali Usa utilizzando Google, Snapchat, Twitter, Fb e YouTube. E’ un sistema di consulenza ormai adottato ovunque, anche in Italia. Nel caso della società anglo-americana il raccolto dei dati è stato successivamente sviluppato secondo tecniche comportamentali. Brittany Kaiser sostiene di non aver partecipato alla sua stesura, affidata invece a suo dire a dirigenti delle sedi di Londra, New York e Washington e al cofondatore e amministratore delegato Alexander Nix. Nelle 27 pagine sono descritti i metodi di «micro-targeting» che sarebbero stati «tagliati su misura» per la campagna elettorale digitale di Trump durante la fase finale della corsa per la Casa Bianca. Sono illustrate le attività di ricerca sull’opinione pubblica, modelli di utilizzo di dati e algoritmi disegnati per mirare 10 mila diversi segmenti di audience negli Stati Uniti. E si fa riferimento a messaggi cliccati alla fine sul web «miliardi di volte». Si tratta di un documento utile per capire come sono cambiati, negli ultimi tre anni, le campagne elettorali anche in paesi come la Lituania, Benin, Etiopia o Libia sotto la guida di spin doctor occidentali.

Cambridge Analytica’s ‘Trump for President’ debrief by The Guardian on Scribd

E’ dimostrato il rapporto tra la campagna referendaria inglese e quella presidenziale americana stabilito da un’azienda finanziata da uno dei sostenitori di Trump, il miliardario Robert Mercer. Dietro il Facebookgate si conferma la tela di un’operazione politica dove Steve Bannon, l’ideologo suprematista bianco della campagna di Trump, occupa un posto di primo piano. E’ stato anche vicepresidente di Cambridge Analytica. In una conferenza a New York ieri Bannon ha preso le distanze, ha negato di avere fatto «trucchi sporchi» e ha sostenuto di ignorare il «data mining» in corso nel biennio in cui è stato l’astro reazionario in due continenti. E poi si è vendicato di uno dei suoi avversari politici – Zuckerberg – colpendolo lì dove fa male: «I dati Facebook sono in vendita in tutto il mondo». E Facebook, si intende, non controlla l’uso che ne fanno le terze parti – come la società che Bannon ha presieduto. Dall’alto della posizione di imprenditore politico che ha fatto le fortune di Trump, Bannon ha detto alla platea: «Siete tutti servi della gleba. Ben pagati, ma sempre servi della gleba. I dati sono lì a disposizione, i social network- prendono gratis le vostre cose e monetizzano con un ampio margine. Controllano la vostra vita». Di questa monetizzazione, anche politica, ha goduto la carriera di Bannon, lo pseudo-iconoclasta del capitalismo digitale.

Nel frattempo è stato dato il via libera alla perquisizione della sede londinese di Cambridge Analytica. Il giudice Leonard ha autorizzato l’authority britannica per la protezione dei dati personali a controllare documenti e computer. Martedì prossimo saranno rese note le motivazioni del verdetto. Cambridge Analytica, che come Facebook nega ogni irregolarità, e ha detto di essere pronta a consegnare volontariamente il materiale in udienza.

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