F16 Usa, droni houti, missili libanesi: è l’allargamento «soft»
Medio Oriente Nessuno vuole allargare il conflitto in Medio Oriente ma tutti lo istigano. Bombardamenti statunitensi in Siria, scontri a fuoco tra Israele ed Hezbollah
Medio Oriente Nessuno vuole allargare il conflitto in Medio Oriente ma tutti lo istigano. Bombardamenti statunitensi in Siria, scontri a fuoco tra Israele ed Hezbollah
Ieri gli F16 statunitensi hanno bombardato due installazioni militari ad Abu Kamal, nell’est della Siria vicino al confine con l’Iraq, colpendo le milizie sciite ritenute responsabili di alcuni attacchi condotti nei giorni scorsi con droni e razzi contro la base aerea americana di al-Asad in Iraq e la guarnigione di al-Tanf in Siria, che hanno provocato 21 feriti.
Il Pentagono ha fatto poi sapere di aver inviato 900 militari in Medio Oriente, insieme a diverse batterie di Patriot e altri caccia, per rafforzare il proprio schieramento nella regione che già conta su 2.500 uomini in Iraq e un migliaio in Siria, presenti formalmente per combattere l’Isis.
INTENDE così scoraggiare un maggiore coinvolgimento militare dell’Iran e del cosiddetto «asse della resistenza», l’insieme delle organizzazioni politico-militari sciite, coordinate ora con i sunniti palestinesi di Hamas e della Jihad Islamica, legate a Teheran e attive in diversi paesi dell’area. Biden vuole dimostrarsi pronto a sostenere l’alleato israeliano fino in fondo.
Ma l’ulteriore step nel continuo botta e risposta degli ultimi giorni alimenta l’escalation, rischiando di causare un allargamento del conflitto difficilmente gestibile.
Né l’Iran né Hezbollah sembrano realmente intenzionati a entrare in guerra, ma se Tel Aviv decidesse di condurre un’offensiva di terra su vasta scala a Gaza – causando quella che i palestinesi temono possa configurarsi come una «seconda Nakba» – la situazione a livello regionale potrebbe precipitare.
Ed è forse proprio per dimostrare la propria determinazione e convincere Israele – e Washington – a non superare la linea rossa (oltre che per consolidare l’«unità dei fronti» in Medio Oriente) che le varie milizie legate alla Repubblica islamica hanno preso di mira lo Stato ebraico e le infrastrutture militari statunitensi con una ventina di attacchi da varie direzioni.
DAL SUD del Libano Hezbollah ha colpito le postazioni militari israeliane e ha tentato piccole incursioni oltre il confine; Israele ha risposto con bombardamenti dal cielo e da terra, uccidendo – per stessa ammissione del Partito di Dio – alcune decine di miliziani libanesi, ma ha dovuto evacuare una consistente fascia del suo territorio contiguo alla frontiera.
Alcuni razzi sono partiti anche dal territorio siriano e per rappresaglia Israele ha bombardato ripetutamente e messo fuori uso gli aeroporti di Damasco e Aleppo.
Da sud sono intervenuti anche gli Houthi, movimento prevalentemente sciita protagonista di un lungo conflitto con il governo dello Yemen e i suoi sponsor, guidati dall’Arabia saudita. I missili balistici e i droni lanciati contro Israele sono stati però intercettati dalle navi da guerra statunitensi inviate nel Mar Rosso e dai sistemi antimissile di Riad.
Poi, ieri mattina, un drone esplosivo è caduto vicino ad un ospedale di Taba, città egiziana al confine con Israele sul Golfo di Aqaba, ferendo leggermente sei persone. Inizialmente si era parlato di un razzo e i comandi israeliani avevano fatto riferimento a una non meglio precisata «minaccia aerea» proveniente dal Mar Rosso.
FONTI del Cairo hanno poi riferito di un «proiettile» caduto vicino a una centrale elettrica di Nuweiba, altra località egiziana affacciata sul Mar Rosso, 70 km a sud di Taba.
Mercoledì Hamas ha dichiarato di aver preso di mira con un missile la città israeliana di Eilat che sorge accanto a Taba, ma dell’attacco di ieri Washington ha incolpato gli Houthi, anche se finora non è giunta alcuna rivendicazione.
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