Le devastanti battaglie combattute in Francia durante la prima guerra mondiale comportarono il massacro di interi eserciti senza mai portare a una svolta conclusiva. Mentre la tecnologia bellica – quella degli aerei, dei carri armati, dei gas velenosi – raggiungeva risultati tanto straordinari quanto mortiferi, l’entità stessa della perdita di vite umane accendeva il conflitto di cupe risonanze apocalittiche, e dava forza a una visione sovrannaturale dell’esistenza umana.

In quegli anni, ad esempio, fioriva l’ultima stagione dello spiritismo, attraverso cui personaggi famosi (in Inghilterra Rudyard Kipling) erano convinti di potersi mettere in contatto con i propri figli, morti in battaglia lontano da casa.

Scrittore del fantastico, radicato nell’antica cultura celtica del Galles, ma anche attento osservatore degli eventi attuali, Arthur Machen aveva dato un suo contributo patriottico alle leggende che aleggiavano sulla Grande Guerra raccontando negli Arcieri la cronaca della battaglia di Mons, in cui i reparti inglesi in ritirata sarebbero stati salvati da una schiera di angeli intervenuti a colpire il nemico tedesco con gli archi e le frecce dei mitici yeomen, i soldati-contadini dell’esercito medievale inglese.

Machen, che nel 1894 aveva ottenuto un notevole successo con il romanzo Il grande dio Pan, in cui alternava motivi gotici e orrifici tipici del Decadentismo a fantasie classicheggianti incentrate sul ritorno molto poco rassicurante degli déi pagani, si era mosso con disinvoltura anche nel paesaggio urbano di Londra, ritratto tra magia e realismo, nella rete di racconti che costituiscono I tre impostori; ma il suo paesaggio preferito rimane un Galles rurale e roccioso, non toccato dalla Rivoluzione industriale, e frequentato dalle creature malefiche del Piccolo Popolo.

Tra le pagine di Il terrore (ora in una buona traduzione di Giuseppe Lucchesini, sebbene cada spesso nel vezzo anglicizzante di porre gli aggettivi davanti ai sostantivi, Quodlibet pp. 145, euro 12,00) che in Inghilterra venne pubblicato nel 1917 (quando la guerra stava volgendo a favore degli Alleati anche grazie all’intervento americano) Machen disegna un’atmosfera angosciosa raccontando una serie di eventi inesplicabili, resi ancora più terrorizzanti dall’intervento della censura militare e dalla convinzione che ‘gli Unni’ si stiano infiltrando in Inghilterra con un esercito sotterraneo.

Sebbene controllata dall’atteggiamento equilibrato del primo narratore e da quello di Lewis, un medico condotto alle prese con una serie di morti misteriose, la narrazione si sviluppa in modo incalzante, creando una dimensione ansiogena che ben si addice alle paure di una popolazione messa a dura prova dalla guerra, e che, nello stesso tempo, si arricchisce di sfumature fantastiche, tanto più efficaci quanto più sono radicate nel paesaggio gallese del sud-ovest, vicino al mare.

Machen, un maestro di tecnica narrativa, ebbe H.P. Lovecraft tra i suoi estimatori, ma il suo influsso va molto al di là e si può cogliere ancora oggi in quella dimensione weird, in cui si mescolano gotico, fantasy, fantascienza, che caratterizza alcuni tra i più interessanti scrittori contemporanei, da China Mièville a Jeff Vandermeer.

La conclusione del Terrore non risolve l’enigma e propone teorie non verificabili, che semmai confermano quanto sostiene il dottor Lewis: «La scienza scalfisce soltanto la superficie delle cose… è irrilevante quando si ha a che fare con la realtà». Meglio affidarsi a un’antica tradizione di miti e leggende, non priva, nella nostra sensibilità, di qualche sfumatura ecologista.

Quelli in questione sono comunque atteggiamenti non estranei alla maggior parte della cultura europea dei primi decenni del Novecento, dove Machen è una figura non secondaria.