Una granata lanciata in mezzo alla folla, forse destinata al palco su cui aveva appena terminato di parlare il primo ministro etiope Abiy Ahmed, ha provocato il panico ieri nella centralissima Merkel Square. Al momento dell’esplosione, la spianata di Addis Abeba riservata ai grandi eventi era gremita da decine e decine di migliaia di persone (un milione secondo la tv di stato) venute apposta per stringersi intorno all’uomo che in poche settimane è riuscito a scompaginare equilibri e privilegi inattaccabili fino a tre mesi fa, nel paese più importante del Corno d’Africa. Dichiarando guerra, come ha ribadito nel discorso di ieri, «all’odio che ha regnato in Etiopia negli ultimi 100 anni».

 

 

SECONDO LE AUTORITÀ l’attentato ha provocato 153 feriti, di cui dieci in condizioni critiche, e almeno un morto. Ahmed è stato trascinato via dal palco illeso e poco dopo è apparso in tv, parlando di diverse vittime poi smentite. «Uccidere gli altri è sempre una sconfitta», ha detto. E «chi prova a dividerci è destinato a fallire».

Del resto One Love, One Ethiopia, il titolo dato all’appuntamento di ieri, sembrava preso da una canzone di Bob Marley, che in questa stessa piazza, al centro della terra promessa dei rasta, è stato tante volte celebrato. Ma tutto si può dire tranne che Ahmed non si sia impegnato per dare sostanza a un ritornello, uscendo dall’ambito simbolico.

Eletto premier a sorpresa lo scorso aprile in seguito alle dimissioni di Hailemariam Desalegn, il più giovane leader africano (42 anni) non ha perso tempo né sembra porsi troppi limiti. Ha ordinato la liberazione dei prigionieri politici, definito le torture praticate dai servizi di sicurezza sugli oppositori «il nostro terrorismo», ha riaperto i media censurati (oltre 200 tra siti, giornali, radio e tv) e soprattutto ha impresso una drastica accelerazione agli accordi di pace con l’Eritrea, che ristagnavano senza progresso alcuno da 18 anni, dopo un biennio di conflitto armato.

EX MILITARE ED EX MINISTRO della Ricerca scientifica, Ahmed ha avviato anche un programma di privatizzazioni destinato a compiacere le stime di crescita del Fondo monetario e ha indicato tra i suoi obiettivi la creazione di un mercato comune nella regione esteso anche alla Somalia, che è tornata ad attrarre investimenti interessati. Anche così sembra essersi garantito la fiducia del tradizionale alleato americano (la Casa bianca ieri ha condannato l’attentato), che nei suoi predecessori ha sempre trovato rassicuranti certezze rispetto alla presenza militare Usa nella regione. Ma un potere «presentabile», in un’Etiopia pacificata, a chi non converrebbe?

 

La folla ieri a Merkel Square (Afp)

 

A livello interno, la discontinuità del personaggio è data molto dal fatto che si tratta del primo leader “espresso” dalla maggioranza sfortunata degli Oromo, il principale gruppo etnico del paese, storicamente marginalizzato.

Nel mondo all’inverso l’Etiopia fa la sua figura, con un’economia quasi totalmente nelle mani dell’élite di una minoranza, quella tigrina, che negli ultimi trent’anni ha dominato anche la scena politica attraverso il Fronte popolare di liberazione del Tigrai, pezzo forte della coalizione governativa di cui fa parte anche l’Organizzazione democratica del popolo Oromo (Opdo) di Abeiy Ahmed.

LE SUE IMPROVVISE APERTURE sono piaciute molto ai ribelli etiopi del Ginbot 7, che hanno deposto le armi nelle ultime ore. Un po’ meno alla vecchia guardia, che sulla pace con l’Eritrea ha sconfessato il premier unendosi all’ira delle popolazioni che vivono nei pressi del confine.