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Etiopia-Eritrea, segnali di pace

Etiopia-Eritrea, segnali di pace

Corno d'Africa Per la prima volta dal 1998 un primo ministro etiope viene accolto ad Asmara. I due stati pronti ad attuare gli accordi di Algeri del 2000

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 13 luglio 2018

Un abbraccio che scioglie tensioni storiche tra due ex colonie italiane. E che potrebbe avere riflessi positivi su un’area, il Corno d’Africa, satura di violenze e priva di diritti. Ma geopoliticamente strategica.
L’otto luglio Asmara, capitale dell’Eritrea, ha accolto per la prima volta dallo scoppio della guerra di confine con Addis Abeba (1998), un primo ministro etiope.
Abiy Ahmed è stato ricevuto all’aeroporto dal presidente eritreo, Isaias Afeworki, e poi accompagnato, per un summit, nel palazzo presidenziale. Il giorno dopo i due leader hanno firmato una dichiarazione di pace e amicizia che dovrebbe mettere fine al conflitto tra i due stati.

Un incontro preparato da tempo e annunciato nel giugno scorso dal Consiglio esecutivo del Fronte democratico rivoluzionario popolare dell’Etiopia (Fdrpe), la coalizione al potere ad Addis Abeba. Una svolta resa possibile con l’arrivo alla guida del paese proprio di Abiy Ahmed, un oromo che ha sostituito, il 28 marzo, Hailemariam Desalegn come primo ministro. Ahmed non solo ha cercato di placare le frequenti e violente proteste di piazza, rilasciando migliaia di prigionieri politici, ma ha promesso la pace con l’Eritrea e la liberalizzazione di alcuni settori strategici dell’economia.

Il cuore dell’accordo tra Asmara e Addis Abeba è la piena accettazione e realizzazione dell’accordo di pace firmato nel 2000 ad Algeri, ma da allora mai attuato. E, a cascata, la riapertura dei canali diplomatici prevede il ripristino della connessione telefonica tra i paesi; la ripresa dei voli diretti tra le due capitali; la riapertura delle strade per i porti eritrei di Assab e Massaua. Una scelta, quest’ultima, vitale per l’Etiopia, priva di sbocchi al mare.
Ma la speranza di pace tra i due paesi potrebbe avere riflessi importanti anche nella vicina Somalia. Da tempo, infatti, Eritrea ed Etiopia stanno combattendo una guerra «nascosta» in quel paese. Asmara è accusata di sostenere i ribelli jihadisti di al-Shabaab, che continuano ad attaccare le forze di pace africane, di cui fa parte l’Etiopia.

La rivalità fra le due ex colonie italiane ebbe inizio alla fine della Seconda guerra mondiale, quando l’Onu stabilì che l’Eritrea fosse federata con l’Etiopia, mantenendo la propria autonomia. Gradualmente il governo di Addis Abeba trasformò la federazione in una vera e propria annessione, che ebbe luogo nel 1962. Da allora seguirono trent’anni di conflitto, che si concluse nel 1991, quando il Fronte di liberazione del popolo eritreo (Fple), guidato dall’attuale presidente Isaias Afewerki, condusse il paese all’indipendenza dall’Etiopia.

Quattro giorni dopo l’entrata in Asmara dell’Fple, il 28 maggio 1991 cadde anche la capitale etiopica, liberata dal Fronte popolare per la liberazione del Tigray, spalleggiato dal fronte eritreo che era allora uno stretto alleato. Due anni dopo, il 27 aprile 1993, i risultati del referendum di autodeterminazione dissero che il 99,83% dei votanti aveva optato per la secessione e l’Etiopia fu il primo paese a riconoscere l’indipendenza eritrea. Sembrava che si fossero risolti molti degli annosi problemi ereditati dal processo di decolonizzazione.

Ma l’idillio tra Asmara e Addis Abeba durò pochissimo. Solo 7 anni dopo, il 6 maggio 1998, una scaramuccia per un territorio da sempre conteso, la piana di Badme, di nessun valore né economico né strategico, innescò un conflitto devastante, portando alla luce tensioni accumulate negli anni. La guerra, che provocò decine di migliaia di morti, si chiuse con un faticoso accordo, firmato ad Algeri nel dicembre del 2000. Ma il conflitto, di fatto, non si concluse mai. L’Etiopia, infatti, non riconobbe il verdetto della Corte arbitrale permanente dell’Aia, che, nel 2003, assegnò Badme all’Eritrea. Perciò non ritirò mai il suo esercito da quel territorio, né vi smantellò la sua amministrazione civile.

L’incontro dell’8 luglio scorso sembra aver chiuso quel capitolo. Anche se sono ancora numerosi gli ostacoli sul cammino della pace. Ad esempio, le questioni territoriali. Le aperture di Addis Abeba non sono state ben accolte dalle popolazioni che vivono sul confine con l’Eritrea. Dopo l’annuncio di Ahmed, migliaia di persone sono scese in piazza a Badme contro l’attuazione degli accordi di Algeri. I manifestanti rivendicano l’appartenenza della città al territorio etiopico.
E i problemi non riguardano solo Badme. Anche gli afar eritei hanno dichiarato che si opporranno a scelte riguardanti il loro territorio – la Dancalia, compreso il porto di Assab – che non li vedano protagonisti.

I segnali più importantu sono però attesi da Asmara. Il regime non ha più alibi. Ha sempre giustificato il blocco della democratizzazione del paese con la situazione di «guerra fredda» al confine. E ora? Sono attesi gesti concreti, come ad esempio, il rilascio dei detenuti politici, o almeno la formalizzazione delle accuse mosse loro. Anche la leva militare senza una fine certa non ha più senso. Ma la preoccupazione che serpeggia nella diaspora è che quella nata l’8 luglio possa rivelarsi una pace nella continuità della dittatura.

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