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Estremo Oriente al Lido, fra ritorni e novità

Da «Cloud» di Kiyoshi KurosawaDa «Cloud» di Kiyoshi Kurosawa

Venezia 81 Dalla Cina di Wang Bing al Giappone di Kiyoshi Kurosawa che presenta il suo «Cloud»

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 31 agosto 2024

Girato da Wang Bing e dal suo staff fra il 2014 e il 2019 nella zona di Zhili, Cina nord orientale, Youth è un progetto documentario che ha quindi nel tempo che abbraccia una delle sue caratteristiche più salienti. Allo stesso tempo, la trilogia ha anche attraversato lo spazio festivaliero internazionale, disseminato fra Cannes lo scorso anno, Locarno alcune settimane fa e ora Venezia. Se il primo lavoro della trilogia, Youth (Spring), segue la monotona routine quotidiana di un gruppo di giovani ragazzi impiegati nelle piccole botteghe tessili della zona, il secondo capitolo, Youth (Hard Times), si concentra maggiormente sul conflitto per il miglioramento delle condizioni lavorative e salariali di questi giovani, che sono impegnati in scontri con i padroni delle piccole fabbriche, quasi ventimila nella zona. Questa monumentale opera documentaria realizzata dal regista cinese, nata dal montaggio e dalla selezione su più di 2600 ore di girato, trova la sua conclusione qui alla Biennale di Venezia con Youth (Homecoming), il terzo e ultimo capitolo della trilogia, che è presente, il solo film di non-fiction, in concorso.

Il documentario è più corto rispetto agli altri due che lo precedono, questi erano infatti di circa di quattro ore ciascuno, mentre questo supera di poco le due ore e mezzo. Wang e il suo staff seguono il ritorno a casa, durante le festività del Capodanno cinese, di un gruppo di giovani operai che lasciano la zona di Zhili per recarsi nelle campagne della Cina continentale, ma posano il loro sguardo anche su coloro che non hanno i soldi necessari per fare il tanto agognato viaggio e sono quindi costretti a rimanere nelle fabbriche deserte. Sia per la durata del progetto, sia per lo stile adottato, alterna distacco e partecipazione della videocamera alle vicende, ma anche per la dedizione con cui Wang ha seguito i lavoratori ed il modo in cui questi vengono sfruttati, rivelando la loro quotidianità fatta di amori e litigi e speranze per il futuro, la conclusione di Youth si preannuncia un tassello fondamentale nella carriera del regista. In questo modo si rivela anche un’importante cartografia di come la continua ed incessante produzione capitalistica, nel caso specifico quella tessile che fornisce tutto il pianeta, si fondi sempre e comunque sullo sfruttamento di qualcuno e di una classe sociale.

Sempre in Cina e sempre attraverso l’occhio documentario, Elizabeth Lo, dopo l’ottimo debutto Stray nel 2020, focalizza la sua attenzione su un fenomeno che sembra essere in crescita nel paese asiatico, le agenzie che si occupano di far restare insieme le coppie in crisi. Lo con Mistress Dispeller espande l’idea che stava dietro al cortometraggio omonimo del 2021 e realizza un lungometraggio, presentato nella sezione Orizzonti, che segue la professionista Wang Zhenxi nel suo tentativo di fare da paciere fra marito, moglie e amante. La donna, assunta dalla moglie, si infiltra nella vita dell’amante del marito, a loro insaputa, e cerca di guadagnarsi la fiducia di questa per poi provare a distruggere la loro relazione amorosa.

Sul versante giapponese, ritorna a Venezia, dopo aver vinto il Leone d’Oro come miglior regista nel 2020 con Wife of a Spy, Kiyoshi Kurosawa che al Lido porta Cloud, un thriller scritto da lui stesso e che nasce dall’interesse di Kurosawa su come atti di violenza o di sopraffazione possano nascere e venire alimentati in maniera sproporzionata in rete. Il protagonista, interpretato dal bravo Masaki Suda, è un uomo che si guadagna da vivere attraverso degli imbrogli organizzati online che un giorno però lo porteranno a rischiare la propria vita. Nel cast anche una delle giovani attrici del Sol Levante più talentuose, Kotone Furukawa, protagonista del primo episodio di Wheel of Fortune and Fantasy di Ryusuke Hamaguchi. Cloud arriva in un momento piuttosto attivo per Kurosawa, dopo il mediometraggio Chime, presentato alla Berlinale e in questi giorni in alcuni teatri dell’arcipelago, anche se è stato originariamente distribuito in maniera speciale online, e il remake in francese del suo stesso film del 1998, The Serpent’s Path.

Abbastanza particolare la presenza a Venezia di Takeshi Kitano, non tanto in sé, il giapponese è molto legato al festival italiano dove vinse il Leone d’Oro nel 1997 con Hana-bi e quello d’argento per Zatoichi nel 2003, ma in quanto al Lido porta fuori concorso Broken Rage, un lavoro di poco più di un’ora che si divide in due parti, la prima seria e la seconda più comica. Molti pensavano che Kubi del 2023 potesse essere il suo ultimo film, ma Kitano ha dichiarato che girare il film su Oda Nobunaga con un gruppo di attori affiatati gli ha fatto ritornare la passione e lo ha spinto a girare questo lavoro.

Alcune opere da non perdere saranno presentate nella sezione classici, Manji, diretto da Yasuzo Masumura nel 1964, dal romanzo sugli amori omossessuali fra quattro giovani La croce buddista del 1928, scritto da Jun’ichiro Tanizaki, impreziosito dalla magnetica presenza di Ayako Wakao, e soprattutto The Man Who Put His Will on Film di Nagisa Oshima. Lungometraggio tra i più sperimentali del regista giapponese, il film, nel 1970, preconizza la crisi dei movimenti studenteschi a venire e allo stesso tempo indica una nuova possibile via artistica legata all’esplorazione politica del paesaggio (fukeiron). Attraverso la scrittura di Mamoru Sasaki e di Masato Hara, regista quest’ultimo che intraprenderà nei decenni successivi una delle carriere più uniche nella storia del cinema giapponese, le vicende di Motoki, giovane membro di un gruppo radicale che si impossessa della macchina da presa abbandonata da un suo compagno che si è suicidato, esplode e si frantuma in una serie di paesaggi esterni ed interni che ritornano su sé stessi come in un nastro di Moebius.

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