«Ora siamo nella fase di un conflitto caldo con gli Stati uniti». Lo ha detto ieri il viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov alla radio Sputnik. «Stiamo assistendo al coinvolgimento diretto di Washington in una guerra ibrida con la Russia in diversi settori. Alcune forme di questa guerra sono semplicemente senza precedenti… semplicemente non esistevano e non potevano esistere durante la Guerra fredda».

LA DICHIARAZIONE è di quelle che lasciano il segno, soprattutto nell’escalation mediatica degli ultimi mesi tra la Casa bianca e il Cremlino. Martedì la sede centrale della segreteria della Nato aveva issato la bandiera della Finlandia per celebrare l’ingresso di Helsinki nell’Alleanza e poco dopo il ministro della Difesa russo Shoigu aveva annunciato la consegna alla Bielorussia dei sistemi missilistici Iskander, capaci di trasportare bombe nucleari tattiche e testate convenzionali. Contestualmente Shoigu aveva annunciato che «una parte degli aerei bielorussi ha acquisito la capacità di colpire obiettivi nemici con armi nucleari», lasciando intendere che la mossa di Mosca era una risposta all’allargamento della Nato. Allargamento che ora è effettivo, dato che la Finlandia e la Federazione russa condividono una frontiera di quasi 1.400 km.

IL GIORNO SEGUENTE, durante una cerimonia il presidente russo ha rincarato la dose affermando di fronte all’ambasciatrice americana a Mosca, Lynne Tracy, che le relazioni tra il suo Paese e Washington attraversano una «crisi profonda» la quale, secondo il Cremlino, sarebbe stata generata dal sostegno Usa alle rivoluzioni colorate nelle ex repubbliche sovietiche e, in modo particolare, al «colpo di stato a Kiev».

ANCORA UNA VOLTA il leader russo ha ribadito che la cosiddetta «rivoluzione arancione» ucraina del 2014 è «all’origine della crisi attuale». Tuttavia, il capo di stato ha chiarito che la Russia «non vuole isolarsi» e rimane aperta alla «cooperazione» con qualsiasi paese sulla base di un principio di «eguaglianza». E infatti, nelle ultime settimane la diplomazia di Mosca è stata molto attiva su diversi fronti. Il principale al momento è senz’altro quello asiatico. La visita del presidente cinese Xi Jinping ha destato molto clamore e preoccupazione nei paesi della Nato per la possibilità che si crei un nuovo asse strategico tra Pechino e l’amministrazione russa e da più parti si è contemporaneamente blandito e ammonito la Cina. Mentre da un lato il premier spagnolo, la Commissione europea, gli Usa e la Francia si sono sbilanciati in considerazioni sull’ «importanza del ruolo di Pechino nel delicato momento storico che stiamo attraversando», dall’altro c’è chi ripete che allearsi con la Russia è un errore e (nel caso degli Usa) minaccia conseguenze.

DEL RESTO NON È CASUALE che ieri il presidente francese Emmanuel Macron sia arrivato a Pechino per una visita ufficiale di 3 giorni volta a «pianificare e tracciare il corso delle relazioni bilaterali, approfondire la cooperazione e avere uno scambio di opinioni approfondito sulle principali questioni internazionali e regionali». Quasi subito il capo dell’Eliseo ha però chiarito un punto: chiunque aiuti Putin nella sua guerra contro l’Ucraina ne diventerà «complice». Si noti che tale affermazione fatta da Pechino ha un peso del tutto differente rispetto a quelle fatte in precedenza dai palazzi governativi Occidentali. Sembra quasi che Macron abbia voluto scoprire le carte, almeno a livello mediatico, forse per evitare di essere preso nel vortice della propaganda che approfitta di ogni spigolatura per insinuare il dubbio che la coalizione Occidentale sia in crisi. Insieme al capo di stato è atterrata anche la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che qualche giorno fa aveva già chiarito: «Il futuro delle relazioni dell’Ue con la Cina dipenderà dall’atteggiamento di Pechino di fronte alla guerra in Ucraina». I due hanno una visione diversa sull’approccio che l’Ue dovrebbe avere con la Cina ma è significativo che abbiano deciso di affrontare questo importante viaggio diplomatico insieme, per dare un segno di unità.

MA QUELLA VASTA regione del mondo oggi non è sotto osservazione solo per la visita dei due politici europei. Ieri infatti, la Cina ha iniziato a sorpresa «una speciale operazione congiunta di pattugliamento e ispezione nella parte centrale e settentrionale dello Stretto di Taiwan». Alcuni media locali riportano che l’operazione durerà 7 giorni e comprenderà caccia e navi militari in numero non specificato. È chiaro che la decisione dipende dal fatto che la presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, alla fine ha incontrato a Los Angeles il presidente della Camera Usa, Kevin McCarthy. Il governo cinese l’aveva detto quando Tsai è partita (ufficialmente per il Centro America, gli Usa sarebbero solo uno «scalo tecnico»): «Non tollereremo ingerenze da parte di Washington nelle relazioni con Taiwan» e aveva promesso una rapida risposta.