Era già tra i titoli più attesi almeno da tutti coloro che amano un cinema libero e ancora capace di essere irriverente, e la proiezione ieri nella sala della Quinzaine des Realisateurs, sold out da giorni, è stata esplosiva. Sul palco sale insieme agli attori e alla crew João Pedro Rodrigues, il regista di O Fantasma (2000) e di L’ornitologo (2016) che presenta il suo nuovo Fogo-Fatuo (Feu Follet, ma niente a che vedere con Louis Malle e tantomeno con Drieu de la Rochelle).

UNA «FANTASIA MUSICALE» di erotismo gay, incendi dei boschi e post colonialismo, barocca e piena di humor, e soprattutto una commedia politica che nel bisogno sottolineato dai tanti film visti questi giorni sulla Croisette di «parlare dei temi seri» fa vibrare con leggerezza nella sua forma cinematografica le questioni della contemporaneità. Il paese è un Portogallo immaginario e insieme pieno di riferimenti alla storia di sovrani e di conquistatori lusitani dove nel 2069 – «l’anno erotico se ce ne fosse uno» – l’anziano sovrano Alfredo (Joel Branco) sta morendo. Al suo capezzale il nipotino, il camion dei pompieri e il suo Playmobil nero con cui gioca il ragazzino accende nell’uomo i ricordi. Sono gli anni Duemila della sua adolescenza, boccoli biondi e incarnato chiarissimo Alfredo (Mauro Costa) è animato dall’egualitarismo repubblicano che si oppone alla «messinscena» rigidissima della famiglia reale, la madre specialmente molto critica sulle sue tendenze a deviare dai ruoli.

João Pedro Rodrigues
Mi sono chiesto molto come filmare il corpo e il desiderio sessuale. È qualcosa che mi riguarda e che sto ancora tentando di esplorare Il ragazzo ama i boschi, quei lunghi tronchi gli fanno pensare a qualcos’altro fino a provocargli uno stordimento erotico, decide così di arruolarsi nei pompieri come volontario – la prima lezione sarà che si deve essere attratti dagli «alberi» per proteggerli. Nella caserma gli altri ragazzi lo prendono in giro, tra loro scherzano, inventano, giocano col desiderio e con le sue possibili rappresentazioni in cui «interpretano» nei loro tableau vivant in chiave gay Rubens e Velasquez. Non è del resto Alfredo uno studente d’arte? L’ambiente della caserma dei pompieri è uno strano universo ludico e divertito, Alfredo è bianchissimo e esile mentre Afonso il suo istruttore (André Cabral) è nero col corpo muscoloso; si guardano, respirano la loro saliva – è un esercitazione – si amano e godono nel bosco lanciandosi insulti postcoloniali a dire di un passato schiavista di cui sanno e che hanno ben chiaro ma sul quale possono anche (eroticamente) scherzare.

GIRATO con scelta frontale – specie le scene dei sovrani – che guarda al cinema di De Oliveira per «sdrammatizzarne» l’eredità o la potenza, mischiando canzoni, passaggi di realtà e un musical che dichiara amore a quelli di Demy, Fogo-fatuo è una storia d’amore (molto camp) che esplora i generi in un universo gay e si svincola dai dettami dei linguaggi «corretti» di oggi per liberare la risata. E lo fa senza cinismo ma con grande dolcezza, col piacere di condividere una gioia – la stessa che sprigionano le sue immagini e che ha accompagnato ogni momento su quel set. «Ci sono molti elementi che fanno parte dell’immaginario nel film, ma quello che ho provato a fare di più è stato filmare tra il serio e il ridicolo per avventurarmi in una dimensione aperta, senza inibizioni che oggi mi sembra sia negata» dice Rodrigues. Niente limiti dunque in questa «fantasia» di un riso erotico e intellettuale, piena di riferimenti, allusioni, infiniti passaggi, singolare per la sua brevità – il film dura poco più di un’ora – che bilancia il proprio ritmo con profana precisione.

COSA È CHE CERCA Alfredo nella «fuga» dal suo ruolo? Un diverso se stesso? Un orizzonte di possibilità? È il contrasto delle apparenze col suo desiderio che lo intrappola, che soffoca la sua vita, che lo condanna a una solitudine nei decenni: si può perdere per questo la propria felicità?
Rodrigues invece non si pone dei limiti, al contrario lascia i propri personaggi mettersi in gioco coi loro corpi danzanti e magneticamente attratti l’uno dall’altro, e il piacere che accendono – un fuoco dirompente – si fa controcampo delle parole che sembrano talvolta dire il contrario. Ma è proprio su questo «stridore» (apparente) che lavora la sua regia spogliando il linguaggio delle sue accumulazioni di significati per dare voce ai conflitti e per spostarne il senso oltre le apparenze, oltre la «castità» imposta dalle regole. È qui il suo impeto liberatorio, gesto di un fare cinema che continua a accettare le scommesse e i rischi e che porta nelle sue inquadrature gli amori di chi lo realizza rifiutando le «dimostrazioni». Si è lì, in una magia, in una avventura che ci sorprende e che interroga il nostro tempo, le sue questioni, il suo immaginario senza caderci dentro. Un talento speciale.