Ieri in Turchia è stata la giornata dell’incoronazione: a sei giorni dal ballottaggio che gli ha regalato un terzo mandato presidenziale – novità assoluta – Recep Tayyip Erdogan ha prestato giuramento di fronte al parlamento e celebrato la conferma in carica di fronte a decine di capi di stato e primi ministri stranieri.

C’ERA ANCHE Nechirvan Barzani, presidente del Kurdistan in Iraq, il cui territorio è costantemente bombardato da Ankara a caccia di Pkk (mentre lui festeggiava, le bombe cadevano anche ieri, a Duhok).

E c’era il segretario generale della Nato Stoltenberg: si è presentato insieme all’ex premier svedese Carl Bildt, con l’obiettivo dichiarato di convincere il presidente turco a togliere il veto all’ingresso di Stoccolma nella Nato (magari in tempo per il meeting atlantico dell’11 e 12 giugno in Lituania).

Si vedrà. Intanto c’è da formare un nuovo governo. Erdogan, uno che subisce il fascino del simbolismo, ha promesso ieri di voler inaugurare «il secolo della Turchia», chiaro riferimento al centenario della Repubblica fondata nel 1923 da Ataturk. Grandi piani per il futuro, lo ha dimostrato in questi anni di politiche di potenza nella regione.

La redazione consiglia:
Exploit a destra, un turco su 5 vota un partito ultranazionalista

DI FRONTE ha però una crisi economica feroce. Il segnale più forte in tal senso giunge dal nome del nuovo ministro delle finanze: Mehmet Simsek, ex titolare del ministero dell’economia tra il 2009 e il 2018, allergico alla spregiudicatezza che ha caratterizzato le politiche erdoganiane degli ultimi anni e che hanno condotto al crollo della lira e a un’inflazione stellare. Il suo ritorno potrebbe tranquillizzare i mercati.

Meno rassicurante è l’uomo scelto per il ministero degli esteri (e che ha “prevalso” sull’altro papabile, l’attuale fedele portavoce di Erdogan, Ibrahim Kalin): il capo dell’intelligence turca Hakan Fidan, 14 anni ala guida del Mit e tra i protagonisti dell’aggressività internazionale turca. Dalla guerra civile siriana, con la «gestione» dei miliziani islamisti che oggi occupano mezza Siria del nord; all’intervento in Libia; dall’eliminazione di attivisti politici curdi al negoziato sul grano tra Mosca e Kiev. (chiara cruciati)